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Storie di ricercatori #conFondazioneCariplo

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Antonio AmbrosioSenior Scientist CNST@POLIMI - Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, arriva a Milano con un prestigioso finanziamento ERC Consolidator Grant e un progetto di Fondazione Cariplo finalizzato a creare ologrammi per applicazioni nel campo dell’opto-elettronica e delle telecomunicazioni.

Come è stato il suo percorso e quali sono state le principali difficoltà affrontate durante la sua carriera?

Ho studiato e lavorato in Italia in un momento dove sicuramente gli investimenti nella Ricerca erano scarsi, se non nulli. Poi mi sono trasferito all’Università di Harvard, dove ho avuto l’opportunità di dirigere il laboratorio di Optical Nano-imaging. Diverse volte mi sono trovato a desiderare di avere budget per comprare macchine commerciali ma spesso non ce n’è stata la possibilità. Costruirsi “ïn casa” strumentazione prende tempo ed ha sicuramente un impatto sui tempi di un esperimento e sulla produzione scientifica. Tuttavia, personalmente ho sempre sentito questa condizione come un problema a metà. Sviluppare apparati porta ad avere competenze preziose ed a sviluppare sistemi spesso unici e soprattutto cuciti sull’esperimento che si ha in mente. Insomma, dove è lo sfizio altrimenti?

In cosa consiste il suo progetto?

La mia ricerca riguarda lo sviluppo di componenti ottici integrabili, che è un campo in continua evoluzione, basti pensare ai comuni smartphone nelle tasche di ciascuno di noi. L’obiettivo dell'attività di Ricerca è quello di ottenere dispositivi ottici sottilissimi (10 volte più sottili di un capello umano) che siano modulabili nella loro funzione anziché statici con funzionalità fisse. Alla base della ricerca ci sono materiali polimerici riconfigurabili e leggerissimi per una nuova categoria di elementi ottici attivi.

Quale è il suo “sogno nel cassetto” come ricercatore?

Nell’anno in cui ho vinto il progetto ERC Consolidator "METAmorphoses", l’Italia era all’ottavo posto per numero di progetti vinti, cioè progetti presentati e vinti con Istituzioni Italiane. Tuttavia, considerando invece il numero di progetti totali vinti da ricercatori Italiani, l’Italia balzava al secondo posto. Situazioni simili sono riscontrabili ogni anno. Le istituzioni di ricerca mondiali sono piene di italiani che si distinguono nelle loro discipline di pertinenza; la maggior parte di loro, come me, ha studiato e si è formata in Italia. Il mio desiderio, come ricercatore italiano è di vedere sempre più programmi locali e nazionali come quelli di Fondazione Cariplo o il Brain Magnet di IIT, in grado di attrarre in Italia ricercatori italiani e stranieri che portino con sé l’esperienza maturata all’estero.

Quale potrebbe essere l’augurio per il nuovo anno?

L’augurio per il nuovo anno è anche un consiglio che vorrei dare ai ragazzi che si sono da poco laureati e a quelli che sono impegnati nel lavoro di tesi. Vorrei dire loro di mantenere i propri orizzonti aperti; di non confrontarsi soltanto con la realtà locale ma di chiedersi costantemente dove e come quello che stanno facendo si inquadra nel panorama della Ricerca Mondiale, al fine di crescere e maturare come ricercatori e cittadini del mondo.

 

Mascheroni

Giovanna Mascheroni, Associate Professor of Sociology of Communication, Department of Communication, Faculty of Political and Social Sciences

Come è stato il suo percorso e quali sono state le principali difficoltà affrontate durante la sua carriera?

Ho conseguito il dottorato in Sociologia e Metodologia della ricerca sociale nel 2006 e nel 2007 ho avuto la fortuna di entrare a far parte di una rete europea, EU Kids Online, che a oggi include ricercatori in 33 paesi e che studia le opportunità e i rischi di internet per bambini e ragazzi. Con due colleghi ho vinto nel 2012 un progetto FIRB sul ruolo dei social media nella partecipazione politica. Il percorso nell’accademia italiana è faticoso e non lineare, quindi, dopo essere diventata RTD nel 2011 e aver conseguito l’abilitazione alla II Fascia nel 2014, sono diventata Associato a dicembre 2019.

In cosa consiste il suo progetto?

Datafied Childhoods: Data traces in family life and the production of future data citizens (DataChildFutures) esplora la pervasività dei media digitali e dell’Internet of Things nella vita quotidiana delle famiglie con bambini piccoli per comprendere come la datizzazione riconfiguri sia le pratiche quotidiane sia gli immaginari sociali. Il progetto combina un approccio etnografico con un approccio statistico.

Quale è il suo “sogno nel cassetto” come ricercatore?

Quale è il suo “sogno nel cassetto” come ricercatore: Sembra proprio che con il 2020 il mio sogno nel cassetto si stia realizzando: grazie al finanziamento della Fondazione Cariplo posso realizzare una ricerca sulla datizzazione che sto immaginando da qualche anno. Inoltre, questo progetto, insieme a un progetto Horizon vinto con alcuni colleghi di EU Kids Online, mi dà la possibilità di costruire un gruppo di lavoro e dare a tre giovani ricercatori le stesse opportunità che ho avuto io con EU Kids Online. Bisogna premiare i giovani che decidono di restare in Italia, nonostante all’estero possano avere percorsi più facili.

Quale potrebbe essere l’augurio per il nuovo anno?

Da un lato mi auguro una cambio di rotta, che inverta la tendenza decennale al sotto-finanziamento della ricerca scientifica in Italia che possa contribuire ulteriormente all’internazionalizzazione dell’accademia italiana e al superamento di un certo suo provincialismo; contemporaneamente, mi auguro che i media promuovano un diversa immagine dell’università italiana che non è fatta (solo) di baroni e concorsi truccati, ma soprattutto di eccellenze che però, purtroppo, vengono riconosciute e valorizzate più all’estero che nel nostro paese.

 

marfia Ricercatore

Giovanni Marfia MD, PhD Laboratorio di Neurochirurgia Sperimentale e Terapia Cellulare Unità di Neurochirurgia Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano Cap. C.S.A.r.n Corpo Sanitario Aeronautica Militare

Come è stato il suo percorso e quali sono state le principali difficoltà affrontate durante la sua crescita professionale?

Il mio percorso nel mondo della ricerca scientifica ha avuto inizio nel campo delle Biotecnologie Mediche ed è proseguito attraverso il corso di studi in Medicina e Chirurgia, la specializzazione in Neurochirurgia e il Dottorato di Ricerca in Farmacologia, clinica e terapia delle Malattie Metaboliche. E’ stato un percorso molto stimolante, che mi ha permesso di crescere come biologo, come medico neurochirurgo e soprattutto come ricercatore, dalla ricerca di base sino alla medicina traslazionale.  Ho creduto fortemente in questo percorso proprio perché la medicina e le scienze di base rischiano di rimanere percorsi paralleli, con scarsa interazione, proprio perché il biologo ed il medico talvolta parlano linguaggi incomprensibili ciascuno per l’altro. Sono convinto che la competenza in campo clinico e la relazione con i pazienti possano offrire sempre nuovi spunti da tradurre in ricerca traslazionale sul bancone di laboratorio. La sofferenza incontrata durante la pratica clinica, l’ascolto dei malati e delle loro fragilità, mi hanno dato sempre molta energia per intraprendere nuove ambiziose sfide per la ricerca. Le difficoltà non sono di certo mancate, soprattutto per il rischio di essere considerato una figura professionale “ibrida”, ma ho avuto la fortuna di ricevere il supporto di validissimi colleghi e della Direzione Scientifica della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, la quale mi ha sostenuto nel fondare un laboratorio di neurochirurgia sperimentale, concedendomi spazi e attrezzature per condurre ricerca in ambiti delicati, come quello della neuro-oncologia, che purtroppo ancora oggi soffre di un’offerta terapeutica limitata. Avrei tante persone, incontrate durante il mio percorso, da menzionare e ringraziare, dai familiari dei pazienti alle associazioni a scopo benefico che ci sostengono, e grazie ai quali, oggi ho la possibilità di condurre ricerche innovative e all’avanguardia, volte allo sviluppo della medicina di precisione e alla personalizzazione dei trattamenti terapeutici, attraverso una visione multidisciplinare e soprattutto traslazionale. Fondazione Cariplo ci offre una preziosa opportunità sostenendo il nostro progetto, ed è quella di mettere il malato e le sue necessità al centro della nostra visione. Dal letto di ospedale partiamo a raccogliere dati e campioni, che analizzeremo attraverso le piattaforme tecnologiche che un’istituzione leader nel campo della ricerca biomedica come il Policlinico di Milano, ci offre, garantendo la massima ricaduta clinica, affinché il circolo virtuoso si chiuda di nuovo al letto del paziente. Nel mio percorso ho incontrato infine anche la Medicina Aerospaziale, e oggi, come Capitano Medico del Corpo Sanitario Aeronautico oltre che Ricercatore, con orgoglio, cerco di tradurre le conoscenze preziose che la Forza Armata è in grado di offrire a beneficio del Sistema Paese. Basti pensare allo studio dell’interazione uomo-ambiente durante il volo atmosferico e spaziale e agli effetti di condizioni estreme sull’organismo umano, come l’ipossia, la microgravità o le radiazioni cosmiche, in grado di mimare alcune alterazioni alla base di processi patologici alla base dei tumori o di molte altre patologie.

In cosa consiste il suo progetto?

Il glioblastoma è il più aggressivo dei tumori cerebrali e la prognosi dei pazienti è altamente sfavorevole. La resistenza del tumore alle terapie è dovuta a complessi meccanismi cellulari e molecolari che promuovono la crescita e la sopravvivenza delle cellule tumorali, nonché la formazione di nuovi vasi sanguigni, nonostante le terapie attualmente disponibili. Ho sempre immaginato il tumore come un bersaglio mobile che, quando messo “sotto scacco” dalle terapie, si adatta. Le cellule tumorali non sono tutte uguali, ma esiste una gerarchia, che stiamo pian piano identificando. All’interno del tumore esiste un cuore costituito da cellule “leader”, ovvero le cellule staminali tumorali, che sono scarsamente responsive alle terapie ed inviano alle cellule che costituiscono la massa tumorale, degli input di resistenza e sopravvivenza agli attacchi esterni, proprio come se fossero il braccio e la mente. In questa battaglia, abbiamo immaginato il tumore cerebrale come una malattia dell’intero organismo, piuttosto che come un fenomeno locale. Abbiamo compreso che le cellule staminali del tumore sono in grado di comunicare con l’intero organismo sovvertendo la fisiologia per attrarre sempre risorse nuove a sostegno del tumore. I nostri studi più recenti ci suggeriscono che esista una delicata comunicazione tra cellule staminali tumorali, endotelio e piastrine, orchestrata da un potente lipide oncopromotore, la sfingosina-1-fosfato (S1P), in grado di dirigere e sostenere lo sviluppo della massa tumorale, in un circolo vizioso auto-alimentante. S1P per esempio è in grado di raggiungere il midollo osseo attraverso il circolo ematico e favorire la produzione di piastrine circolanti cariche di fattori di crescita pro tumorali, le quali a loro volta riconoscono il transito dai vasi sani ai vasi tumorali e solo li degranulano il loro contenuto che costituisce nuova linfa per il tumore stesso. Lo scopo del nostro studio è quello di comprendere i meccanismi che sottendono all’azione dell’S1P nel glioblastoma, affrontando il problema secondo un approccio “olistico” per l’individuazione di alterazioni molecolari specifiche quali marcatori di risposta/resistenza ai trattamenti, contro cui dirigere nuovi trattamenti nell’ottica della medicina personalizzata.

Quale è il suo "sogno nel cassetto"?

Come ricercatore il mio sogno nel cassetto è quello di identificare nuovi target contro cui sviluppare terapie innovative, che ottimizzino il risultato biologico riducendo gli effetti collaterali, migliorando così la qualità di vita dei pazienti e aumentandone l’aspettativa di vita. Mi piacerebbe creare un “Brain Cancer Center” all’interno della Fondazione Policlinico, una struttura all’interno del quale il paziente possa iniziare un percorso di cura, affrontando tutte le sue necessità, dalla diagnosi all’accompagnamento nei casi in cui le terapie purtroppo falliscono, con la consapevolezza che talvolta pur non potendo sempre guarire si può sempre curare prendendosi cura del malato e dei suoi familiari. La fondazione di un centro dedicato alla cura dei pazienti neuro-oncologici offrirebbe un servizio di diagnosi e terapia multidisciplinare, attraverso la promozione della ricerca scientifica, fedele al motto “si cura meglio dove si fa ricerca”, e permetterebbe di istituire un modello di cure definito e replicabile, capace di garantire ai pazienti un continuum delle cure di tipo medico, infermieristico, farmaceutico, sociale, riabilitativo e psicologico oltre a rappresentare uno strumento per ottimizzare le risorse a carico del Servizio Sanitario Nazionale offrendo a ciascun paziente la cura migliore, ritagliata secondo un profilo personalizzato in grado di predirne la risposta, in una regione come la Lombardia in cui il welfare e la sanità sono il fiore all’occhiello.

Quale potrebbe essere l'augurio per il nuovo anno?

Auguro a me stesso e a tutti i membri del mio team di svolgere al meglio l’attività di ricerca affidataci e di crescere con umiltà, senza mai smettere di porsi domande e ascoltare il bisogno di salute dei nostri malati, in un clima di collaborazione, condivisione, integrazione, motivazione e passione, al fine di raggiungere obiettivi condivisi ed accogliere con gioia nuove sfide nonostante le difficoltà che quotidianamente incontreremo.