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La cultura diventa coesione: il Festival del Silenzio

Tra i 166 progetti sostenuti dal bando “Partecipazione culturale” tra il 2014 e il 2018 con un contributo complessivo pari a 15,3 milioni di euro, con l’obiettivo di promuovere una domanda di cultura che punti su fattori qualitativi e innovativi di fruizione, condivisione e partecipazione e in grado trasformare i luoghi della cultura in presidi di cittadinanza e coesione, c’è il “Festival del Silenzio” una manifestazione (già realizzata in due edizioni alla Fabbrica del Vapore di Milano) totalmente accessibile sia a soggetti sordi che udenti, sia a chi utilizza la LIS che a chi non la conosce, sia a italiani che a stranieri. Nel Festival, tra le altre cose, vengono proposti spettacoli di teatro con drammaturgia segnante, spettacoli di danza, mimo contemporaneo, teatro fisico e visivo, spettacoli internazionali accessibili anche a chi non conosce la lingua italiana; visual vernacular (forma artistica di espressione fisica di storytelling), concerti di musica fruibile anche da sordi, basati su una scrittura delle frequenze più basse che vengono percepite sensorialmente,

Cesare Benedetti è uno dei fondatori dell’associazione culturale Fattoria Vittadini che ha ideato il Festival: «Abbiamo una compagnia di danza e gestiamo uno spazio culturale con attenzione ai pubblici più fragili con un tipo di approccio non “abilista” alla disabilità. Nella nostra storia ci siamo specializzati nel rapporto con al comunità sorda scoprendo la ricchezza della produzione poetica della lingua sei segni, una lingua a cui però è difficile accedere per i non udenti. È nata così l’idea di creare una vetrina per unire i due pubblici, quello delle persone udenti e non udenti. Il Festival del Silenzio non è una manifestazione per sordi ma per tutti, con un doppio intento: costruire dei percorsi artistici accessibili ai sordi, che spesso non vanno a teatro perché le barriere alla fruizione sono troppe e alle persone udenti di godere di un altro punto di vista, un altro linguaggio».

Matteo Pedrazzi, non udente, al primo anno è stato “solo” spettatore del Festival, al secondo è diventato responsabile dello staff, oltre che performer in uno spettacolo: «Ho sempre amato il teatro, fin dalle elementari. E, frequentando scuole speciali per persone sorde fino alla fine delle superiori, ho sempre potuto partecipare ai corsi e alle esibizioni che venivano proposte a scuola. Alle superiori si trattava di un’attività curriculare. Ero molto timido, all’epoca, e avevo un po’ di difficoltà relazionali. Il teatro era l’unico ambiente dove riuscivo a esprimermi, ha sempre avuto un effetto benefico e, nel tempo, mi ha reso più estroverso.

Quando ho terminato il liceo, ho provato a vedere se nella mia città, Brescia, ci fossero dei corsi per persone non udenti. Ho contattato l’Ens (Ente Nazionale Sordi) ma non era mai stato attivato nulla in questo senso, ho provato a proporre io di organizzare corsi, ma mi sono scontrato con la difficoltà nel reperire fondi. Mi sono arrangiato come autodidatta, ho studiato e, quando sono diventato insegnante Lis a Brescia ho provato a creare un gruppo di teatro nell’Ens della città. Ma facevo fatica, le persone non erano stimolate: il compito più difficile era quello di dimostrare che esistono artisti sordi, se la comunità sorda non è abituata a frequentare il teatro fa anche fatica a immaginarsi che esistono. Manca un passaggio di identificazione: ciascuno ha un suo vissuto molto personale e nella comunità sorda ci sono tante persone con problematiche di integrazione. Proprio per questo è importante trovare nella società ruoli e mestieri in cui identificarsi, perché se non lo so non esiste nemmeno per me. Quando ho incontrato Cesare, lavoravo già in ufficio e, allo stesso tempo continuavo la mia attività di insegnante Lis: lui mi ha proposto un corso di teatro danza, si trattava di un progetto di integrazione tra persone sorde e udenti. E ho capito che cosa volevo fare: utilizzare il mio corpo come strumento comunicativo. Così è nata la mia collaborazione con la Fattoria Vittadini e, nella seconda edizione del Festival, sono diventato il coordinatore dello staff e performer

Io credo che la contaminazione tra le due culture, quella sorda e quella udente sia fondamentale e solo da lì passi una vera integrazione. Ho fatto molta fatica nella mia vita a realizzarla, ma dopo il Festival del Silenzio ho visto che è possibile. La danza e il corpo sono un linguaggio universale,e approcciarmi solo per avere una soddisfazione visiva era possibile anche prima per me, quello che si portano dietro in più le performance del Festival del Silenzio è che lo spettatore è coinvolto nel processo cognitivo, perché lo spettacolo è concepito dall’inizio non come un’opera destinata solo a spettatori udenti, basata sui loro parametri, perché non bastano i sottotitoli per godere di un’opera lirica, ma è necessario integrare i due sguardi fin dall’inizio. Lo staff di lavoro del Festival è misto: persone udenti e non udenti, persone di altri paesi, sorde e non, interpreti della lingua dei segni internazionale. Io ho visto i volontari e chi ci lavorava cambiare davvero nei giorni in cui siamo stati insieme e io sono cambiato con loro: le barriere svanivano. l Festival è il germoglio di quello che vorrei se posso sognare: l’eliminazione delle etichette persona cieca, sorda o straniera ma persona con un suo messaggio, un suo talento, una sua capacità e specificità. Se gli artisti riescono a comunicare questo, la speranza è che questo messaggio passi nella comunità e in tutti gli ambiti, non solo quello artistico».

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