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Salute mentale e benessere: una priorità globale

"Fai della salute mentale e del benessere per tutti una priorità globale" è il tema dell’edizione della Giornata Mondiale della Salute Mentale 2022, perché in un mondo travolto dalle conseguenze della pandemia, della guerra e dell’emergenza climatica, il benessere di tutti deve diventare una priorità.

Dopo le edizioni di Londra, Amsterdam, Parigi quest’anno sarà proprio in Italia, a Roma, il 13 e 14 ottobre il Global Mental Health Summit (GMHS), con l’obiettivo di valorizzare il ruolo dell’Italia nella salute mentale di comunità, in Italia e sul piano internazionale. In collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il GMHS svilupperà l’ambizioso piano di azione tracciato a Londra nel 2018, incrementando la consapevolezza e l’impegno in tema di salute mentale sia a livello politico che nella società civile

Fondazione Cariplo è attiva da anni all’interno del Bando Welfare di Comunità (visita il sito di Welfare in Azione) e Innovazione Sociale nella promozione della salute mentale attraverso il sostegno a progetti che favoriscono percorsi di inserimento lavorativo, supporto abitativo e inclusione sociale, e che sperimentano nuovi modelli orientati alla recovery e all’attivazione della comunità, affiancando le persone con disagio psichico nella costruzione del proprio progetto di vita, valorizzando le reti sociali naturali e trasformando loro stesse in risorsa per la comunità attraverso percorsi sempre meno “sanitari”.

Con il recente bando Attenta-Mente, Fondazione Cariplo sostiene inoltre progetti mirati a intercettare, agganciare, accompagnare e supportare bambini e ragazzi con disagio psichico, emotivo, relazionale, con particolare attenzione a quei minori e famiglie che non possono permettersi i costi dei servizi privati né i tempi di attesa dei servizi pubblici. Una fascia d’età per cui gli esperti mettono in luce una vera e propria “emergenza della salute mentale” dovuta al continuo aumento delle richieste dei minori in questo ambito. Un crescente disagio mentale tra i giovanissimi che, in assenza di risposte, rischia di subire un processo di cronicizzazione su vastissima scala. 

Leggi la storia di Paolo

Quest’anno, uno dei relatori del Global Health Mental Summit di Roma, sarà Paolo Macchia, 59 anni, da anni coinvolto nel progetto aMicittà sostenuto da Fondazione Cariplo nel bando “Welfare di Comunità”. Il Progetto è stato attivato sul territorio in cui opera il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano di Niguarda: Municipalità 9 e parzialmente 2 e 3 del Comune di Milano. aMicittà ha sperimentato azioni per migliorare il benessere e le condizioni di vita di una parte significativa dei pazienti con problemi di salute mentale in carico ai servizi, ma anche dell’intera comunità, puntando alla recovery e al protagonismo delle persone fruitori dei servizi

Tre settimane fa Paolo ha ricevuto una Pec in cui il ministero della Salute lo invitava a parlare al tavolo dedicato all’ Innovazione nella Salute Mentale. Paolo è un ESP, acronimo che sta per esperto di supporto alla pari, una professione ancora non riconosciuta ma che ricopre uno spazio che nessun operatore sanitario può occupare. Perché un ESP è, o è stato, un utente dei Servizi di salute mentale. La sua storia, la sua sofferenza, il suo sapere esperienziale sono una ricchezza da trasferire a chi attraversa il disagio e che ha il potere di umanizzare i percorsi di cura. I progetti sulla Salute Mentale più innovativi se ne sono accorti e, in quei progetti, da svariati anni l’ESP affianca gli operatori sanitari. 

Paolo Macchia al Global Mental Summit porterà le sue competenze: oltre che ESP assunto a tempo indeterminato dall Cooperativa Sociale Lotta per l’Emarginazione, è il presidente della RUL (Rete Utenti Salute Mentale Lombardia) e conduce da cinque anni una trasmissione in una web radio insieme ad altre persone in carico ai servizi di salute mentale. Ma al Global Mental Health Summit Paolo porterà anche il suo naufragio che inizia (ma forse anche finisce) una notte a Milano

Paolo sta guidando, la testa scoppia di pensieri e l’ultimo, di cui non ha memoria, è quello che gli fa decidere di schiantare la sua macchina contro un muro: «È stato un gesto non premeditato di cui non ricordo quasi niente, ma tutti i testimoni hanno riferito che è stato un atto volontario. La mia compagna mi aveva lasciato sei mesi prima, il novantanove per cento delle persone riescono a superare la fine di un amore, io non ce l’avevo fatta. In passato avevo avuto altri momenti di fragilità, sono anche stato a lungo tossicodipendente ma poi ne ero uscito con le mie sole forze. Lavoravo come tornitore e guadagnavo anche molto bene, ma senza la mia donna mi sembrava che niente avesse senso. In quei mesi il medico di base mi prescriveva “goccine”, finivano e me ne prescriveva altre, non mi ha mai parlato dei servizi di salute mentale, e io l’ultima notte sono crollato. Dopo lo schianto non muovevo più né le braccia, né le gambe. L’operazione e sei mesi di riabilitazione hanno rimesso in piedi il mio corpo, però mancava tutto il resto».

L’incidente viene classificato come un mancato suicidio e l’Unità Spinale di Niguarda invia Paolo al Centro di Salute Mentale del territorio. La sua diagnosi è: “Disturbo antisociale di personalità e Depressione Maggiore” «Passavo così tanto tempo al CPS che a lungo ho pensato che il mio posto nel mondo fosse tra quelle pareti, ogni giorno assumevo un cocktail di farmaci. Poi finalmente una psichiatra illuminata mi ha spinto a frequentare un gruppo tenuto da un ESP. Ho accettato e ora l’ESP che lavora in quel gruppo sono io». 

Paolo nel frattempo incontra aMIcittà, partecipa ai tavoli di progettazione che ideano i “Budget di Salute di Comunità”(1) e diventa sempre più bravo come utente ESP. Negli anni si occupa di molte persone: «Ho seguito uomini e donne che vivevano momenti di fragilità forte e ho gioito insieme a loro di ogni conquista, come una casa vera dopo anni in residenzialità psichiatriche. 
Voglio chiarire una cosa però, è vero che porto nei gruppi il mio sapere esperienziale ma questo sapere non è solo frutto di vita vissuta, perché altrimenti qualunque persona che ha un passato di fragilità psichiatrica potrebbe diventare un ESP. Non è così, ci sono molti altri elementi che servono: la formazione naturalmente ma anche la capacità di mettersi a confronto con l’altro. È una professione complessa perché nella relazione di aiuto tra pari è difficile stabilire una linea di confine tra amicizia e relazione d’aiuto invece bisogna sempre tenerla presente. Anche se facciamo insieme delle cose, cucinare, gli acquisti per la casa, prendere un caffè, non posso diventare il loro migliore amico, sto solo facendo un pezzo di strada con loro e il mio obiettivo è che abbiano una vita indipendente lontano da me alla fine». 

Quanti sono gli ESP in Italia? «Forse un centinaio quelli che come me hanno un lavoro retribuito per diverse ore a settimana. Anche se i tempi stanno un po’ maturando, infatti solo pochi anni fa un ESP non sarebbe mai stato invitato a un convegno così importante, c’è ancora molta diffidenza da parte degli operatori sanitari. Sbagliando si pensa che l’ESP voglia fare il lavoro di un altro, invece non c’è nessuna sovrapposizione. Mi auguro che questa figura sia sempre più apprezzata, ma anche al contempo una rigida selezione per garantire che gli ESP siano sempre figure idonee». 

Ma che le cose stiano cambiando e che comunità (intesa come cittadini, utenti dei servizi, famigliari, operatori della salute) e salute mentale siano due parole indissolubilmente legate, lo testimoniano anche i temi principali del GMH di quest’anno: la centralità dell’approccio comunitario alla salute mentale e il coinvolgimento dei diretti interessati e delle loro famiglie nel processo di cura e recupero psicosociale. 

Mentre prepara il discorso per il Global Mental Health Summit «non racconterò l’ennesima storia triste, ma la utilizzerò per fare molti ragionamenti», Paolo che da tempo ormai non assume più nessun farmaco, sta scrivendo anche il suo prossimo programma per la web radio. Si chiamerà “Un caffè con il cavallo azzurro”, azzurro come Marco Cavallo, la scultura nel cortile del manicomio di Trieste che conteneva nella pancia i biglietti a cui i pazienti rinchiusi affidavano i loro sogni e desideri. E che ha iniziato a girare il mondo il 25 febbraio 1973, quando Franco Basaglia ha spaccato con una panchina di ghisa il muro di cinta dell'Ospedale psichiatrico triestino perché Marco Cavallo era così grande che non riusciva a passare attraverso l'uscita normale.

 

(1) Il Budget di Salute di Comunità (BDS) è un progetto riabilitativo individualizzato rivolto a persone con disagio psichico che sono spesso discriminate dal mercato immobiliare, del lavoro e dai contesti socio-culturali