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Cariplo e Telethon: al via 24 progetti contro le malattie rare

Grazie all’alleanza tra Fondazione Cariplo e Fondazione Telethon sono stati finanziati 24 progetti di ricerca di base per un totale di 5,7 milioni di euro. Obiettivo dell’iniziativa congiunta è la comprensione di aspetti genetici e meccanismi molecolari oggi ancora in gran parte sconosciuti o scarsamente compresi, ma potenzialmente utili per favorire lo sviluppo di nuove terapie per le malattie rare.

Sebbene il genoma umano sia stato sequenziato completamente, circa un terzo delle proteine umane non sono ancora state descritte[1]. Questa porzione di genoma ancora inesplorata potrebbe contribuire a chiarire nuovi meccanismi fisiologici e patologici e potrebbe rappresentare una miniera per scoprire nuovi percorsi terapeutici. ll bando di Fondazione Cariplo e Fondazione Telethon si è proposto quindi di sostenere la ricerca di base in questo ambito, ispirandosi a un’iniziativa del National Institutes of Health (NIH) focalizzata sullo studio di quelle parti del nostro patrimonio genetico che, ad oggi, restano oscure ma dovrebbero essere “illuminate”. In particolare, i progetti dovevano focalizzarsi sullo studio dei cosiddetti bersagli Tdark, definiti secondo i criteri stabiliti dall'Illuminating the Druggable Genome Knowledge Management Center (IDG-KMC), per i quali non sono note informazioni sulla struttura, sulla funzione e sulla interazione con molecole e farmaci.

I 24 progetti selezionati vedono la presenza di 35 gruppi di ricerca distribuiti su tutto il territorio nazionale: Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana, Molise, Trentino-Alto Adige e Veneto. Sono oltre 15 gli ambiti e le patologie oggetto di studio, tra cui disordini del neurosviluppo e della crescita, malattie reumatologiche, malattie renali, malattie neurologiche, distrofia muscolare, sindrome di Rett, malattia di Huntington, una forma rara e genetica della malattia di Alzheimer, malattie del sangue, malattie mitocondriali.

Complessivamente sono state ricevute oltre 200 proposte di progetto, presentate da enti di ricerca italiani non profit, pubblici o privati. Di queste, 132 sono state ritenute idonee e sottoposte al processo di valutazione, affidato a una commissione medico-scientifica di 15 scienziati di caratura internazionale provenienti da tutto il mondo e presieduta dal dr. Massimo Pandolfo della Mc Gill University di Montreal (Canada). A garanzia della trasparenza e della correttezza della valutazione, è stato usato il metodo di peer-review, o revisione tra pari, che indica la valutazione critica che un lavoro o una pubblicazione riceve da parte di specialisti aventi competenze analoghe a quelle di chi li presenta.

“Questi ultimi due anni ci hanno dimostrato con evidenza la capacità innovativa e generativa della ricerca di base, capace di creare quel terreno comune da cui nel tempo nascono scoperte che cambiano radicalmente la vita delle persone. Da sempre Fondazione Cariplo sostiene la ricerca e continua a farlo oggi a fianco di Fondazione Telethon, che con noi condivide l’urgenza di provare a dare risposte a quelle persone che si trovano in condizioni particolarmente difficili. – conclude Giovanni FostiPresidente Fondazione Cariplo – Davanti alle sfide e alla complessità che ci troviamo ad affrontare è sempre più necessario il lavoro in rete e la condivisione dei saperi”.

La ricerca di base, in particolare per quanto riguarda le malattie rare, è ancora oggi un ambito orfano di investimenti e questo limita il numero di studi avviati, in particolare in aree del tutto inesplorate - dichiara Francesca Pasinelli, Direttore Generale di Fondazione Telethon In verità, la ricerca di base rappresenta un apripista per l’innovazione in generale, sviluppando conoscenze chiave, potenzialmente utili anche per la ricerca applicata nel campo di patologie più frequenti. Alla luce di queste considerazioni Fondazione Telethon e Fondazione Cariplo hanno deciso di creare quest’alleanza, che ci vede uniti nel comune obiettivo di favorire la crescita della ricerca scientifica attraverso progetti i cui risultati possano nel tempo rispondere alle necessità non soddisfatte dei pazienti e delle loro famiglie, in aree con opzioni terapeutiche scarse o nulle. Siamo quindi molto felici di questo sodalizio, che proseguirà anche nei prossimi anni, e ci auguriamo che anche altre Fondazioni seguano l’esempio di Cariplo mettendo a fattor comune risorse e competenze a sostegno della ricerca sulle malattie rare”.

Visita la sezione "Ricerca scientifica" della pagina Delibere contributi assegnati 2022 per scoprire tutti i contributi deliberati per il progetto "Cariplo Telethon Joint Call for Applications".


[1] Oprea et al, “Unexplored therapeutic opportunities in the human genome”. Nature Reviews Drug Discovery, 2018

Bando Telethon 2021: tutti i progetti sostenuti

  • Immacolata Andolfo - Assistant Professor, Università di Napoli Federico II (coordinatore)
  • Laura Silvestri - Università Vita Salute San Raffaele, Milano (partner)

La stomatocitosi ereditaria disidratata (DHS) è un'anemia emolitica caratterizzata da alterazioni della forma, dello stato di idratazione (il contenuto di acqua) e della deformabilità degli eritrociti, meglio noti come globuli rossi del sangue, che diventano fragili e vanno così incontro a distruzione (emolisi). I pazienti con DHS mostrano infatti anemia con globuli rossi con volume aumentato, aumento dei livelli di bilirubina (una molecola che deriva dalla eliminazione dei globuli rossi invecchiati) ed aumento della concentrazione del ferro nel fegato. La DHS è causata da mutazioni nel gene PIEZO1, che codifica per un canale proteico che permette il passaggio di ioni e acqua dentro e fuori i globuli rossi, e che si attiva in risposta anche a stimoli meccanici. Nonostante i recenti progressi nella comprensione dei meccanismi patogenetici della DHS, non esistono terapie per questi pazienti e la gestione clinica della condizione si basa principalmente su cure di supporto. Questo progetto si basa sull’ipotesi per cui l’aumento dei livelli di ferro osservati nei pazienti DHS sia dovuto ad alterazioni della via di segnalazione cellulare denominata mTOR e del gene LAMTOR4 (del quale non è ancora nota la funzione). Questa ipotesi sarà verificata utilizzando sia cellule epatiche coltivate in laboratorio sia modelli animali della patologia risultati generati permetteranno di comprendere meglio il meccanismo molecolare alterato nella DH e, in futuro, di contribuire alla generazione di nuovi approcci terapeutici mirati a curare il sovraccarico di ferro, che è la maggiore causa di danno d’organo nei pazienti con DHS.

  • Dott. Matthieu Boulard - European Molecular Biology Laboratory (EMBL), Monterotondo (Roma)

Ereditiamo ognuno dei nostri geni in due copie, una materna e l’altra paterna. Di solito le nostre cellule utilizzano equamente entrambe le copie, ma ci sono alcune eccezioni chiamate geni “imprinted”. Sebbene tali geni siano presenti in duplice copia, solo una di esse è funzionale, mentre l’altra viene stabilmente spenta. La scelta di quale delle due copie venga disattivata dipende dalla sua origine. Ma come fanno le nostre cellule a sapere quale genitore ci ha trasmesso un dato gene? Le cellule possono capirlo grazie a una marcatura chimica - una sorta di etichetta - che viene aggiunta sui geni dai nostri genitori prima che vengano tramandati a noi. Questa marcatura genica è detta “epigenetica”, in quanto porta con sé un’informazione sui geni. I geni “imprinted” sono critici per il corretto sviluppo fetale. Esistono infatti alcune malattie rare causate da un’anomala marcatura dei geni “imprinted”. Per esempio, bambini nati con la sindrome di Beckwith–Wiedemann (WBS) o di Silver– Russel (SRS) non presentano la corretta marcatura di un loro gene chiave e, di conseguenza, sviluppano organi rispettivamente troppo grandi o troppo piccoli. Tali sindromi sono molto difficili da diagnosticare e curare, perché non sappiamo come funzionino i geni “imprinted”. Gli scienziati devono quindi scoprire le molecole che si attaccano e marcano i geni. In questo progetto, proponiamo di testare più di 3000 geni ancora inesplorati e la cui funzione è ignota. Ipotizziamo che alcuni di questi geni siano coinvolti in entrambe le malattie poiché il nostro e altri gruppi di ricerca ne hanno identificato uno di recente. A tale scopo, utilizzeremo la tecnologia CRISPR che consente di testare tutti i geni in parallelo e determinare quali giochino un ruolo importante nello sviluppo delle sindromi di WBS e SRS. Il nostro obiettivo è scoprire nuove molecole in grado di assicurare che la marcatura materna o paterna si attacchi ai geni e venga correttamente interpretata.

  • Dott. Salvatore Fusco-Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

La malattia di Alzheimer familiare (eFAD) è una malattia rara che ricalca i sintomi della demenza senile, ma insorge in una età molto precoce (in genere tra i 40 e i 50 anni). Sebbene alcune caratteristiche cliniche accomunino la eFAD alla malattia di Alzheimer (AD), i ricercatori sono ormai convinti che si tratti di malattie con cause e sviluppi differenti. Infatti, mentre per l’AD i fattori ambientali e lo stile di vita ricoprono un ruolo fondamentale, l’eFAD è una malattia genetica per la quale sono stati identificati almeno tre geni responsabili dell’insorgenza precoce della neurodegenerazione. Ciò nonostante, si ritiene che altri geni responsabili della eFAD siano ancora da identificare. Inoltre, i pochi strumenti terapeutici a disposizione per i pazienti affetti da eFAD risultano ancora poco efficaci. Questo progetto di ricerca ha l’obiettivo di investigare il ruolo di una famiglia di geni che codifica per gli enzimi S-aciltransferasi (zDHHC), responsabili della reazione chimica di S-acilazione nelle cellule, nell’insorgenza e nella progressione della eFAD. Gli enzimi zDHHC, in particolare, regolano la S-palmitoilazione, una tipologia di S-acilazione che interessa numerose proteine importanti per la trasmissione dei segnali chimici tra le cellule del cervello. In modelli sperimentali di eFAD è stata dimostrata una minore capacità delle cellule del cervello di essere responsive all’ormone insulina (insulino-resistenza) in una fase precedente l’insorgenza dei sintomi. Inoltre, è stato evidenziato come l’insulino-resistenza manifestata dalle cellule del cervello possa causare una alterata espressione degli enzimi zDHHCs, con conseguente alterazione della palmitoilazione, problemi di trasmissione dei segnali chimici fra le cellule del cervello e deficit di memoria. Infine, evidenze sperimentali indicano che un inibitore della palmitoilazione, il 2-bromopalmitato, è in grado di ritardare l’insorgenza e rallentare la progressione dei deficit cognitivi in un modello sperimentale di eFAD.Gli studi saranno condotti su modelli murini di malattia e avranno lo scopo di caratterizzare l’espressione degli enzimi zDHHC nel cervello e di indagare il loro ruolo nell’insorgenza e nella progressione della eFAD.

  • Dr Maria Carla Bosco - Istituto Giannina Gaslini, Genova

L'artrite idiopatica giovanile oligoarticolare (OAIG) è una rara forma pediatrica di artrite infiammatoria cronica che può portare a danno articolare e compromissione funzionale, con conseguente disabilità a lungo termine. Le cause sono per lo più sconosciute e non esiste ancora la possibilità di predire la progressione della malattia. Nonostante negli ultimi decenni siano stati ottenuti progressi significativi, nessun trattamento conduce a guarigione completa, rendendo necessario lo sviluppo di nuove terapie. Recentemente, è stato suggerito un ruolo della molecola MIR22HG nello sviluppo e nella progressione delle artriti negli adulti, nonché come marcatore e possibile bersaglio terapeutico. Tuttavia, non è stato mai studiato il ruolo della molecola MIR22HG in OAIG. I risultati di questo progetto contribuiranno a migliorare la comprensione dei meccanismi molecolari alla base dell’OAIG, indagando l’espressione di MIR22HG nelle cellule isolate dal sangue dei pazienti e nelle articolazioni dei pazienti con esordio di OAIG per studiarne il coinvolgimento nell'infiammazione e nel danno articolare. Inoltre, verrà indagato un potenziale ruolo di MIR22HG come marcatore molecolare per effettuare diagnosi precoce, per seguire la progressione della malattia e come bersaglio terapeutico.

  • Dott.ssa Isabella Barbiero - Università dell'Insubria, Varese

Il deficit di CDKL5 è una patologia genetica rara caratterizzata da encefalopatia epilettica farmacoresistente a esordio precoce, disturbi motori, cognitivi, visivi e autonomici. È causata da mutazioni nel gene CDKL5, localizzato sul cromosoma X, che si verificano con un'incidenza di 1 su 40.000 nuovi nati. Sebbene negli ultimi anni la ricerca abbia fatto grandi passi avanti, rimane ancora tanto da chiarire sul ruolo di CDKL5 nei neuroni, le cellule del sistema nervoso. Le crisi epilettiche di cui soffrono questi pazienti pongono l’accento sull’importanza di una corretta regolazione dei meccanismi di eccitazione e inibizione dell’attività neuronale. Tuttavia, mentre i meccanismi che regolano i processi di eccitazione dei neuroni sono piuttosto studiati, la funzione di CDKL5 nel regolare l’inibizione dell’attività neuronale è ancora poco indagata. Alcuni dati preliminari dimostrano che esiste un’interazione tra CDKL5 e InSyn1, una proteina coinvolta nella formazione delle sinapsi (punti di contatto tra due neuroni, tramite cui vengono trasmessi gli impulsi nervosi) inibitorie. In particolare, InSyn1 è in grado di regolare la funzione di un complesso proteico, chiamato DGC, che serve per la formazione di alcuni neuroni inibitori, fondamentali per “spegnere” e regolare l’eccitazione neuronale. Lo scopo del progetto di ricerca è studiare il ruolo del gene CDKL5 nei neuroni, inattivandone l’espressione in maniera artificiale in modelli murini, al fine di comprendere come questo influenzi la funzione di InSyn1 e DGC e, di conseguenza, l’inibizione dell’attività neuronale.

  • Dott. Vania Broccoli - CNR, Istituto di Neuroscienze, Milano (coordinatore)
  • Massimiliano Andreazzoli - Università di Pisa (partner)

Le patologie del neurosviluppo sono una classe di malattie che colpiscono lo sviluppo del cervello e delle sue funzioni e hanno un notevole impatto sociale. Comprendono un’ampia varietà di malattie rare, di origine eterogenea ma accomunate dalla presenza di deficit che compromettono radicalmente le funzioni cognitive, la capacità di comunicare, il comportamento e le abilità psicomotorie. Inoltre, queste condizioni sono spesso associate a una serie di problemi clinici, tra cui ritardo dello sviluppo, difetti cranio-facciali e disturbi oculari che aggravano ulteriormente il quadro complessivo. I recenti progressi biotecnologici nella capacità di scoprire nuovi geni e di associare il loro malfunzionamento a malattie specifiche hanno accelerato l'identificazione delle cause genetiche di diverse sindromi dello sviluppo neurologico. Tra quelle di recente scoperta c’è l'inattivazione parziale (detta aploinsufficienza) del gene PRR12, la cui funzione non è stata ancora caratterizzata e definita. L'obiettivo di questo progetto è comprendere il ruolo di PRR12 nelle cellule del cervello, per identificare i meccanismi molecolari coinvolti nella patologia. Inoltre, la ricerca si focalizzerà sulla relazione tra PRR12 e SOX2, un altro gene la cui inattivazione parziale causa un'altra sindrome dello sviluppo neurologico: questo sarà fondamentale per capire le somiglianze e le differenze nei loro meccanismi d'azione. I risultati ottenuti forniranno preziosa conoscenza per comprendere ulteriormente questa classe di patologie e, in futuro, contribuire alla progettazione di nuovi interventi terapeutici.

  • Prof.ssa Nicoletta Landsberger - Università degli studi di Milano (coordinatore)
  • Davide Pozzi - Humanitas University, Milano

La sindrome di Rett è una malattia neurologica dello sviluppo che interessa il sistema nervoso centrale, causando una delle più comuni forme di deficit cognitivo grave nelle bambine. I difetti nella comunicazione fra neuroni (le cellule fondamentali del sistema nervoso centrale), tipici di diverse malattie neurologiche, possono derivare da uno squilibrio della concentrazione del calcio intracellulare. Per questo motivo, la sua concentrazione deve essere precisamente controllata per garantirne il corretto funzionamento. La proteina HPCAL4, presente nei neuroni, sembra avere un ruolo molto importante nella regolazione dei livelli di calcio intracellulare ma, ad oggi, è ancora poco studiata e la sua funzione non è nota. Alcuni dati preliminari, poi confermati da diversi gruppi, indicano come il gene che codifica per HPCAL4 sia meno espresso nei neuroni di persone con sindrome di Rett rispetto alle persone sane. Obiettivo di questo progetto è comprendere meglio il ruolo di HPCAL4 nella regolazione dei livelli di calcio neuronale durante lo sviluppo del sistema nervoso e in età adulta, sia nei neuroni di persone sane, che in quelli di persone con sindrome di Rett. I risultati ottenuti aiuteranno a evidenziare potenziali meccanismi d’azione coinvolti sia nell’insorgenza di questa sindrome che in altre malattie neurologiche.

  • Dott.ssa Chiara Lanzuolo - Fondazione Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM), Milano (coordinatore)
  • Francesco Ferrari - CNR, Istituto di Genetica Molecolare, Milano (partner)

La distrofia muscolare di Emery-Dreifuss è una malattia genetica rara che causa problemi di funzionalità al muscolo cardiaco e scheletrico. Sono state descritte diverse mutazioni che possono causare questa malattia, tutte a carico di geni per la produzione di proteine coinvolte nella struttura o funzione della lamina nucleare. La lamina nucleare è una rete di proteine ancorata al nucleo della cellula che contribuisce a mantenere la struttura tridimensionale del suo contenuto, il DNA, e a regolarne la funzione. In altre parole, la lamina prende parte ai processi che accendono o spengono i geni nelle cellule che compongono i diversi organi e tessuti. Tuttavia, risulta ancora difficile creare una chiara connessione causale tra il genotipo (cioè le mutazioni specifiche nei geni) e i meccanismi molecolari alla base della comparsa dei fenotipi patologici (cioè i sintomi e le manifestazioni cliniche della malattia). Andando più nel dettaglio, non è stato ancora chiarito come le alterazioni della funzione della lamina e delle altre molecole coinvolte si traduca nello sviluppo della distrofia muscolare di Emery-Dreifuss. Questo progetto cercherà di gettare nuova luce su tali dinamiche, in particolare studiando un gene dalla funzione ignota, MLIP, ma che sulla base di informazioni preliminari sembra essere potenzialmente coinvolto nei meccanismi di alterazione della lamina. Grazie a tecniche sperimentali avanzate proveremo a capire il ruolo di MLIP nella distrofia di Emery Dreifuss, per migliorare la nostra conoscenza di base della malattia e contribuire all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici.

  • Dott.ssa Francesca Lavatelli – Università di Pavia (coordinatore)
  • Pierluigi Mauri - CNR, Istituto di Tecnologie Biomediche, Milano (partner)

Le amiloidosi sono patologie causate dal progressivo accumulo in organi bersaglio quali cuore, fegato, rene, sistema nervoso, tessuti molli, di amiloidi, cioè accumuli di proteine con struttura alterata che tendono aggregarsi e a diventare insolubili, tanto che le cellule non riescono a eliminarli. L'amiloidosi AL, in particolare, è una patologia rara e severa in cui gli aggregati derivano da porzioni proteiche delle immunoglobuline (o anticorpi), chiamate catene leggere (CL). A causare amiloidosi sono soltanto le catene leggere codificate da particolari geni (fra cui IGLV1-51 ed IGLV6-57) e con caratteristiche particolari: tuttavia, i meccanismi alla base del fenomeno rimangono sconosciuti. Le attuali terapie (chemio- o immunoterapie) mirano a colpire a monte le plasmacellule, le cellule del sistema immunitario responsabili della produzione degli anticorpi e quindi anche delle catene leggere. L’ideale sarebbe invece disporre di strategie terapeutiche in grado di bloccare a valle il processo di aggregazione, ma questo è attualmente difficile vista la scarsa conoscenza dei meccanismi molecolari alla base dell’amiloidosi. Partendo da tali considerazioni e dall'osservazione che gli attuali modelli sperimentali non riproducono adeguatamente le caratteristiche degli aggregati amiloidi, questo progetto mira proprio a caratterizzare i meccanismi di formazione degli aggregati di catene leggere IGLV1- 51 e IGLV6-57 nei tessuti e, parallelamente, a sviluppare un modello di studio in vitro. Per farlo useremo diverse tecniche, tra loro complementari, per provare a fare luce sulle cause della formazione di aggregati da CL, e saranno decisivi per creare un modello della malattia che consentirà di testare potenziali farmaci ed esplorare nuove strade terapeutiche mirate.

  • Dott.ssa Marianna Leonzino - CNR, Istituto di Neuroscienze, Milano

L’atassia spinocerebellare autosomica recessiva di tipo 4 (SCAR4) è una grave patologia del movimento, caratterizzata da perdita dell’equilibrio e della coordinazione, contrazioni muscolari ripetitive e spasmi. Tali sintomi derivano dalla morte delle cellule nervose del cervello che controllano i muscoli e, quindi, i movimenti. È causata da mutazioni nel gene VPS13D, la cui funzione è ancora poco nota. Questo progetto ha l’obiettivo di indagare le caratteristiche di VPS13D e di svelarne la funzione, utilizzando come modelli di studio cellule nervose coltivate in laboratorio che presentano la mutazione. L’ipotesi, sulla base di dati preliminari, è che come diversi membri della famiglia di geni VPS13, anche VPS13D abbia un ruolo fondamentale nel trasporto dei lipidi all’interno dei diversi compartimenti cellulari. Inoltre, recenti studi specifici sul gene VPS13D indicano che le sue mutazioni sono associate ad alterazioni dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule che, se danneggiati, portano a conseguenze gravi soprattutto per le cellule del cervello. Obiettivo di questo progetto è capire come VPS13D contribuisca all’integrità dei mitocondri e al loro funzionamento, e a come essi si modifichino quando VPS13D viene mutato o rimosso. Nello specifico, valuteremo il ruolo di VPS13D nei processi di scambio dei lipidi per identificare le strutture e gli organelli cellulari coinvolti in questo processo. Le informazioni generate da questi studi faranno luce sulla funzione di VPS13D e su come le mutazioni a carico di questo gene innescano i meccanismi patologici che danneggiano le cellule nervose, generando la malattia SCAR4.

  • Dott. Enrico Milan - Università Vita Salute San Raffaele, Milano

Malattie apparentemente diverse possono avere aspetti biologici comuni, come per esempio alcuni meccanismi molecolari che, quando alterati, contribuiscono allo sviluppo della patologia. La secrezione proteica può essere uno di questi. La secrezione proteica è il processo attraverso il quale alcune proteine vengono rilasciate all’esterno dalla cellula; si tratta di un meccanismo essenziale per i corretti sviluppo, funzione e sopravvivenza di cellule, tessuti e organismi. Tutte le cellule sono in grado di rilasciare proteine di vario tipo; ad esempio, le plasmacellule, cioè le cellule specializzate nella produzione di anticorpi, sono professioniste della secrezione: attraverso questo processo sono infatti in grado di rilasciare anticorpi fondamentali per la risposta alle infezioni. TENT5/FAM46 è una famiglia di 4 proteine che hanno un ruolo fondamentale nel processo di secrezione. Coerentemente, le proteine FAM46 sono associate a varie malattie delle cellule professioniste della secrezione: mutazioni di FAM46A sono responsabili di una rara forma di osteogenesi imperfetta, dove il malfunzionamento del processo di secrezione è causa di un insufficiente rilascio di collagene da parte degli osteoblasti, cellule dell’osso, con conseguente alterazione della struttura e della fisiologia di questo tessuto. Altri esempi sono la nefrite lupica refrattaria, una malattia autoimmune e infiammatoria dei reni nella quale l'espressione di FAM46B sembra avere un ruolo, e il mieloma multiplo, un tumore che colpisce le plasmacellule, per il quale il 20% dei pazienti presenta FAM46C mutato. Recentemente i ricercatori hanno mostrato che le cellule di mieloma tendono a perdere nel tempo l’espressione di FAM46C, per ridurre la produzione di anticorpi e risparmiare così energie per espandersi. Tuttavia, i dati mostrano anche che i membri della famigliaTENT5/FAM46 hanno un'elevata variabilità sia per quanto riguarda la loro localizzazione nella cellula, sia rispetto alle altre proteine con le quali collaborano per svolgere diverse funzioni; ne consegue che gli effetti per le cellule possono essere diversi. A oggi molti di questi aspetti sono ancora da chiarire e la mancanza di conoscenza limita le possibilità di disegnare strategie terapeutiche efficaci. L'obiettivo di questo progetto è caratterizzare in modo completo le funzioni biologiche della famiglia di proteine TENT5/FAM46 e comprenderne il ruolo nello sviluppo di diverse patologie così come un loro potenziale utilizzo come nuovi bersagli farmacologici.

  • Prof.ssa Silvia Kirsten Nicolis - Università di Milano Bicocca

Le mutazioni del gene SOX2 sono la causa di difetti di sviluppo del cervello (neurosviluppo), e quindi di cecità, ritardo mentale, epilessia. Questo gene codifica per una proteina, Sox2, che agisce da fattore della trascrizione, cioè controlla l’attività e la funzione di molti geni, alcuni già noti per essere coinvolti, se mutati, in altri difetti del neurosviluppo. Si tratta quindi di un “circuito” che può essere difettoso a livello sia di Sox2 sia di altri fattori da esso controllati e regolati. Identificare i geni controllati da Sox2 e comprenderne la funzione è quindi fondamentale per capire i meccanismi molecolari alla base dei difetti cerebrali tipici delle patologie del neurosviluppo. Quindi anche patologie dovute a geni diversi da SOX2, ma coinvolti in meccanismi molecolari condivisi. I ricercatori hanno identificato oltre mille geni controllati da SOX2, grazie alle loro ricerche su cellule staminali neurali e animali modello. Di questi, molti appartengono alla categoria dei cosiddetti geni “T-dark”, cioè geni dei quali è noto poco o quasi nulla e nello specifico questo progetto studierà quelli la cui funzione o attività è più ridotta quando il gene SOX2 è assente: l’ipotesi è che la ridotta attività di questi geni influenzi negativamente funzioni importanti delle cellule neurali durante il neurosviluppo. La ricerca sarà condotta utilizzando la tecnica degli “organoidi” cerebrali umani (cioè piccoli cervelli in miniatura, ricostituititi in laboratorio), modificati mediante la tecnica di editing genetico nota come CRISPR-Cas9: questo permetterà di identificare i geni ignoti importanti per il neurosviluppo. Questa tecnica ha già avuto successo per l’identificazione della mutazione di un gene coinvolto nella microcefalia, una condizione per cui la testa di un piccolo paziente risulta molto più piccola di quanto atteso in base a età e sesso. I risultati di questo progetto amplieranno le conoscenze sulle malattie del neurosviluppo e permetteranno di identificare nuovi potenziali bersagli farmacologici per disegnare approcci terapeutici in futuro.

  • Dott.ssa Maria Passafaro – CNR, Istituto di Neuroscienze, Milano

Il deficit di AP4 è una sindrome rara, caratterizzata da grave disabilità intellettiva e paraplegia spastica progressiva. È dovuta a mutazioni di geni che codificano per proteine che nelle cellule formano un complesso denominato AP-4, la cui funzione non è stata ancora del tutto chiarita. Infatti, il meccanismo con cui le mutazioni in questi geni causano manifestazioni cliniche neurologiche così gravi è sconosciuto. Sulla base di esperimenti preliminari, questo progetto vuole verificare l’ipotesi per cui la mancanza di AP4 funzionante porti a difetti funzionali di una classe di proteine chiamate recettori sinaptici del glutammato, noti anche come recettori AMPA (AMPAR). Questi sono fondamentali per la comunicazione fra neuroni, le cellule del cervello, nello specifico per il corretto funzionamento dei “circuiti elettrici” che sono alla base dell’attività cerebrale. Nei pazienti con deficit di AP-4 i recettori AMPA potrebbero non funzionare correttamente o non essere presenti in quantità adeguate: questo, a sua volta, causerebbe i difetti nelle funzioni neurologiche cognitive, di controllo dei muscoli, ecc. Nello specifico il progetto si focalizzerà sullo studio delle alterazioni degli AMPAR in neuroni modello privi di AP-4 funzionante, in particolare di un suo componente, AP-4E1; mutazioni di questa proteina causano nello specifico Paraplegia Spastica 51, autosomica recessiva. La ricerca sarà condotta utilizzando sia modelli cellulari in vitro, sia animali modello in cui il gene AP-4E1 è mutato, così da ricapitolare la patologia umana. I risultati di questo studio faranno luce sulle basi molecolari della sindrome da deficit di AP-4 e permetteranno di identificare nuovi potenziali bersagli terapeutici per lo sviluppo futuro di terapie.

  • Dr Luca Rampoldi - Università Vita Salute San Raffaele, Milano (coordinatore)
  • Andrea Vettori - Università di Verona (partner)

La malattia renale tubulointerstiziale autosomica dominante (ADTKD) è caratterizzata da danno progressivo e perdita della funzione renale. I geni UMOD e REN, codificanti rispettivamente per uromodulina, la principale proteina presente nelle urine di un soggetto sano, e renina, una proteina che viene rilasciata dalle cellule iuxtaglomerulari del rene e coinvolta nella regolazione della pressione arteriosa, sono coinvolti nella ADTKD.Mutazioni nei geni UMOD e REN, infatti, portano all'accumulo intracellulare della proteina mutata all'interno del comparto cellulare chiamato reticolo endoplasmatico (RE), creando una condizione di stress cellulare. In tali condizioni, alcune proteine che risiedono all'interno del RE iniziano a essere secrete. In condizioni fisiologiche, quando tali proteine fuoriescono erroneamente dal RE vengono recuperate da recettori denominati KDELR. Esistono 3 diversi recettori, chiamati KDELR1, KDELR2 e KDELR3, il cui ruolo specifico è attualmente sconosciuto. Alcuni dati preliminari hanno dimostrato come, in modelli murini e cellulari, l’espressione di UMOD e REN mutati è accompagnata da un aumento specifico e significativo di KDELR3. Precedenti studi hanno riportato che l'espressione di KDELR3 aumenta sotto stress del RE. L’obiettivo di questa ricerca è studiare il ruolo di KDELR3 nella patogenesi dell'ADTKD, valutando gli effetti che si verificano quando la sua espressione viene artificialmente “spenta” o “superattivata” in modelli cellulari. Inoltre, verrà studiato il ruolo di KDELR3 nel regolare il trasposto delle proteine nella cellula e nell’attivare segnali specifici in condizioni di stress del RE. Infine, verrà generato un modello animale di ADTKD in pesce zebra (zebrafish) che potrà essere utile non solo a studiare la malattia, ma anche per identificare molecole con potenziale valenza terapeutica.

  • Dr Andrea Saponaro – Università degli studi di Milano (coordinatore)
  • Ivan Torrente – Università degli studi di Milano (partner)

Le alfa distroglicanopatie sono una nuova classe di distrofie muscolari congenite causate da difetti di glicosilazione della proteina alfa distroglicano (αDG). Sono caratterizzate da degenerazione del tessuto muscolare, ma anche disabilità intellettive, epilessia e cardiopatie. L’αDG ha il ruolo di favorire l’adesione delle cellule muscolari alla matrice extracellulare che le circonda e di proteggerle dagli eventuali danni indotti dalla loro contrazione. La glicosilazione, invece, è il processo tramite cui gli zuccheri si legano alle proteine. Le proteine DPM1, DPM2 e DPM3 sono coinvolte nella glicosilazione di αDG e, insieme, formano l’enzima mannosio-dolicol-fosfato (DPM) sintasi. Mutazioni nei geni che codificano per DPM2 e DPM3 sono associate a difetti nella glicosilazione della proteina αDG e, di conseguenza, allo sviluppo di distrofie muscolari congenite. Tuttavia, la struttura, la funzione e la regolazione di queste proteine e il loro ruolo nel determinare l’insorgenza delle distrofie muscolari congenite sono aspetti ancora poco conosciuti. L’obiettivo di questo studio è quello di chiarire tutti questi aspetti non ancora noti, al fine di ottenere informazioni utili per l’elaborazione di futuri approcci terapeutici per questa nuova classe di distrofie muscolari congenite.

  • Dott. Alessandro Sessa - Università Vita Salute San Raffaele, Milano

La disabilità intellettiva è una condizione clinica che può essere associata a molteplici fattori, spesso di origine genetica. Lo studio di queste cause genetiche può essere un’importante via per capire meglio le basi meccanicistiche della malattia, oltre che per entrare nel dettaglio che differenzia un tipo di insulto genetico da un altro. Mutazioni in un gene chiamato RLF sono state individuate in un piccolo numero di pazienti con disabilità intellettiva e alterazioni comportamentali, alla cui diagnosi clinica non era stata in associata una specifica causa genetica. Tuttavia, il beneficio che questi pazienti hanno avuto dall’individuazione del gene-malattia è limitato dal fatto che le sue funzioni sono poco note, quindi le opzioni terapeutiche rimangono limitate. Mediante questo progetto, i ricercatori potranno generare modelli sperimentali per lo studio del ruolo fisiologico di RLF e delle sue alterazioni alla base della patologia umana. Questi modelli della malattia sono noti come organoidi cerebrali di origine umana, cioè cervelli in miniatura, riprodotti in laboratorio, che portano le medesime mutazioni trovate nei pazienti; questo modello permetterà di studiare tali mutazioni nel dettaglio. Questo sistema sperimentale, conosciuto anche come “mini-cervelli in vitro”, permette di ricapitolare alcune delle caratteristiche del nostro cervello e di studiarne alcune peculiarità e funzioni. I risultati di questo progetto permetteranno di far avanzare la conoscenza sulle disabilità intellettive in generale, e di creare solide basi per lo sviluppo futuro di terapie clinicamente rilevanti per i pazienti RLF.

  • Prof.ssa Enza Maria Valente – Università di Pavia

Il progetto è focalizzato su un nuovo gene, FSD1L, codificante per una proteina a funzione ignota espressa nel sistema nervoso fetale e adulto. Abbiamo recentemente identificato mutazioni recessive di FSD1L in pazienti da 3 famiglie con ritardo dello sviluppo, disabilità intellettiva, epilessia, spasticità, ed un quadro malformativo cerebrale caratterizzato da difetti del corpo calloso, ridotta sostanza bianca e lieve idrocefalo.

I nostri dati preliminari suggeriscono un ruolo centrale per FSD1L nel neurosviluppo. Cellule staminali neurali derivate dai pazienti mostrano alterata capacità di migrare e differenziare in neuroni, ed una marcata disregolazione di numerosi geni codificanti per fattori di trascrizione e molecole di segnale coinvolti nel neurosviluppo. Abbiamo inoltre dimostrato che FSD1L mutato può alterare il centrosoma, un organello essenziale per la divisione cellulare ed il funzionamento del cilio primario.

Il progetto si propone di studiare le funzioni di questo gene utilizzando linee cellulari in cui FSD1L è silenziato o overespresso, e cellule derivate dai pazienti e differenziate in direzione neuronale. Nell'obiettivo 1, saranno utilizzate tecniche consolidate per caratterizzare i difetti del neurosviluppo correlati a mutazioni di FSD1L in modelli neuronali e gliali; l'obiettivo 2 sarà focalizzato sul ruolo di FSD1L al centrosoma durante fasi distinte del ciclo cellulare, e sulla sua abilità ad interagire con proteine del centrosoma e del cilio attraverso specifici domini; infine, l'obiettivo 3 caratterizzerà i difetti di espressione genica delle cellule neuronali mutate, ed esplorerà l’ipotesi che FSD1L nucleare possa agire come un regolatore globale della trascrizione.

I risultati del progetto potranno incrementare le conoscenze sui complessi meccanismi regolatori dello sviluppo del sistema nervoso, con potenziale impatto translazionale su altre malattie del neurosviluppo.

  • Dott. Filippo Maria Santorelli - Fondazione Stella Maris – IRCCS, Calambrone (PI, coordinatore)
  • Leonardo Salviati - Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza (IRP), Padova (partner)

Mutazioni del gene HPDL sono state recentemente associate allo sviluppo di due malattie genetiche rare, autosomiche recessive: un disordine del neurosviluppo caratterizzato da spasticità progressiva e anomalie della materia bianca del cervello (nota anche con la sigla NEDSWMA) e una paraplegia spastica (SPG 81) che sembra colpire prevalentemente i muscoli delle gambe. Il gene HPDL è responsabile della produzione di una proteina dei mitocondri, gli organelli responsabili della produzione di energia nella cellula, e la sua funzione non è ancora nota. Dati pubblicati di recente suggeriscono che HPDL sia coinvolto nella produzione del coenzima Q10 (CoQ10), una molecola fondamentale per il metabolismo delle cellule. Tuttavia, gli studi condotti fino ad oggi sui modelli murini non hanno chiarito se CoQ10 abbia o meno un ruolo nell'insorgenza di queste patologie nell'uomo. Per comprendere il ruolo di HPDL durante lo sviluppo, utilizzeremo come modelli di studio sia neuroni sia organoidi (riproduzioni in miniatura, in laboratorio, di organi e tessuti umani); per ottenere entrambi i modelli useremo la tecnica delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs), a partire da cellule isolate dai pazienti con mutazioni di HPDL. Per studiare i meccanismi alla base delle alterazioni molecolari responsabili delle malattie impiegheremo modelli animali (Caenorhabditis elegans, un piccolo verme, e il pesce Zebra Danio rerio) con mutazioni del gene HPDL. Grazie a questi modelli testeremo anche la capacità del CoQ10 e di molecole simili di correggere le alterazioni dovute al malfunzionamento di HPDL. I risultati del progetto contribuiranno ad ampliare le conoscenze sulla funzione di HPDL e sui meccanismi alla base delle patologie associate, e permetteranno di elaborare in futuro potenziali terapie per i pazienti.

  • Prof. Luca Fava - Università di Trento

Le ciliopatie sono un gruppo molto ampio di malattie genetiche, il cui tratto comune è quello di presentare malfunzionamenti delle cilia, strutture presenti in molte cellule dell’organismo umano del tutto simili alle ciglia degli occhi, che possono svolgere diverse funzioni già durante lo sviluppo embrionale. Alla base delle ciliopatie ci sono mutazioni nei geni che codificano per proteine che costituiscono la struttura delle cilia. Ogni anno vengono scoperti nuovi geni associati a queste patologie, tuttavia nei pazienti si osservano manifestazioni cliniche ricorrenti, come la degenerazione della retina e le disfunzioni renali. Inoltre, pazienti che hanno mutazioni nello stesso gene del cilio possono avere manifestazioni cliniche anche molto diverse: in alcuni, ad esempio, l'organo colpito è il rene, in altri la retina e in altri ancora entrambi gli organi. I meccanismi molecolari attraverso cui mutazioni che alterano le proteine del cilio portano all'insorgenza dell'una o dell'altra patologia sono ad oggi quasi completamente sconosciuti. L’obiettivo di questo progetto è di studiare rare mutazioni a carico del gene CEP83 che causano nefronoftisi infantile (nota anche come malattia cistica della midollare renale, autosomica recessiva), una forma di insufficienza renale severa che si presenta prima dei tre anni. Sorprendentemente, in altri bambini mutazioni di CEP83 sono invece causa di retinite pigmentosa, senza compromissione della funzionalità renale. Per farlo utilizzeremo tecniche di microscopia avanzata per determinare le alterazioni strutturali del cilio causate da CEP83 sia in cellule di rene che di retina e capire come una stessa mutazione possa avere effetti diversi in pazienti diversi. Infine, utilizzeremo tecniche di editing genetico basate su CRISPR per determinare quali altre componenti cellulari interagiscano con il cilio mutato: l’auspicio è di identificare le vie metaboliche che modulano la funzione del cilio in presenza di mutazioni a carico del gene CEP83, per poi concepire nuove strategie terapeutiche per queste patologie.

  • Prof.ssa Paola Costantini - Università di Padova (coordinatore)
  • Simone Ciofi Baffoni - Università di Firenze (partner)

La miopatia mitocondriale episodica con - o senza - atrofia ottica e leucoencefalopatia reversible (MEOAL) è un disordine neuromuscolare ereditario raro, ad esordio infantile, caratterizzato clinicamente da debolezza muscolare progressiva e intolleranza all’esercizio. Ulteriori e più variabili caratteristiche della malattia possono includere atrofia ottica, leucoencefalopatia reversibile o parzialmente reversibile e polineuropatia sensitivo-motoria ad insorgenza più tardiva. Questa malattia è stata caratterizzata di recente: è stata identificata per la prima volta nel 2014 e fino ad ora sono state trovate due mutazioni patogeniche in otto individui. MEOAL è causata da mutazioni del gene per la ferredossina-2 (FDX2), una proteina che sembra avere un ruolo essenziale nella produzione di energia da parte dei mitocondri, gli organelli che fungono da centrali energetiche delle cellule. La proteina FDX2 sembra sia importante per la formazione dei “composti” ferro-zolfo, cioè co-fattori essenziali per una corretta funzionalità dei mitocondri. Alcune indicazioni sperimentali suggeriscono che FDX2 potrebbe essere coinvolta anche nella produzione del Coenzima Q, una molecola che svolge un ruolo chiave in numerosi processi biologici. Tuttavia, ad oggi il ruolo di FDX2 nella funzione dei mitocondri non è del tutto completa; questa carenza nelle conoscenze limita la possibilità di disegnare nuove strategie terapeutiche: attualmente non esiste una cura specifica o un trattamento efficace per i pazienti affetti da MEOAL. L’obbiettivo di questo progetto è chiarire come FDX2 funziona nelle cellule sane e in che modo le mutazioni note influenzano la sua attività causando la patologia. I risultati di questa ricerca permetteranno di definire le caratteristiche molecolari della malattia, un aspetto irrinunciabile per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche mirate alla cura della miopatia mitocondriale MEOAL.

  • Prof. Diego De Stefani - Università di Padova (coordinatore)
  • Diana Pendin - CNR, Istituto di Neuroscienze, Padova (partner)

Le miopatie mitocondriali sono malattie genetiche rare che colpiscono prevalentemente i muscoli, ma anche altri organi; esse sono dovute a mutazioni di geni che controllano la funzione dei mitocondri, organelli delle cellule fondamentali per la produzione di energia. È stato recentemente descritto il caso di un paziente affetto da anomalie dei muscoli e del cervello causato da una mutazione genetica che porta alla perdita della proteina TMEM65. Si sa davvero poco sulla funzione di questa proteina: alcune ricerche suggeriscono che TMEM65 si trovi nei mitocondri, altri che sia un componente delle strutture (dette giunzioni) che tengono insieme le cellule cardiache a formare un unico tessuto (il miocardio). Altri studi hanno suggerito che TMEM65 sia coinvolta in altri meccanismi molecolari della cellula. Le conoscenze attuali indicano quindi che TMEM65 è una proteina “orfana”, cioè una proteina alla quale non è stata ancora attribuita una funzione (o più funzioni) in via definitiva. L’obiettivo di questo progetto è proprio quello di definire una funzione molecolare precisa per la proteina TMEM65: i ricercatori hanno concluso, da alcuni dati preliminari, che questa proteina sia importante nel regolare la funzione dei mitocondri e che potrebbe avere un ruolo nello sviluppo delle miopatie mitocondriali. Per dimostrare questa ipotesi e identificare i meccanismi alla base, i ricercatori utilizzeranno approcci sperimentali diversi, che vanno dall’ isolamento di cellule derivate direttamente dai pazienti fino allo sviluppo di organismi modello della malattia, come Drosophila melanogaster (il moscerino della frutta). Assegnare una chiara funzione alla proteina orfana TMEM65 permetterà di far avanzare la conoscenza sui meccanismi alla base delle miopatie mitocondriali. Infatti, anche se fino ad ora è stato riportato un unico caso, i ricercatori ipotizzano che ci siano altri pazienti affetti da simili mutazioni. Inoltre, è interessante notare che una diminuzione della quantità di proteina TMEM65 è stata osservata anche in pazienti affetti dalla sindrome di Barth, una rara patologia legata al cromosoma X, anch’essa caratterizzata da difetti ai muscoli. TMEM65 potrebbe quindi essere un fattore comune a diverse patologie. I risultati di questo progetto potrebbero quindi segnare una svolta nella comprensione di queste malattie rare, gettando le basi per la progettazione di futuri approcci terapeutici.

  • Dr Erika Fernandez-Vizarra - Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), Padova

Le malattie mitocondriali sono un gruppo di patologie genetiche rare causate da difetti in geni che codificano per proteine importanti per la funzionalità dei mitocondri. I mitocondri sono organelli fondamentali per la vita di tutte le cellule del corpo umano, in quanto producono l’energia per lo svolgimento di tutte le funzioni cellulari, e quindi dell’intero organismo. Le malattie mitocondriali possono quindi colpire qualsiasi organo, ma quelli più frequentemente danneggiati sono il cervello e i muscoli, cuore compreso. Un aspetto importante delle malattie mitocondriali dovute a mutazione del gene APOPT1 è che uno stress metabolico, per esempio causato da un’infezione con febbre, può scatenare nei pazienti la comparsa o il peggioramento dei sintomi neurologici o muscolari, suggerendo un ruolo protettivo della proteina APOPT1. Obiettivo di questo progetto è quindi studiare la funzione della proteina APOPT1 nei mitocondri e dimostrare che abbia proprio la funzione di proteggere questi organelli da eventi di stress, come per esempio quello ossidativo o dovuto a eventi febbrili. Per dimostrare il ruolo protettivo della proteina APOPT1, i ricercatori studieranno il modo in cui essa agisce nei mitocondri in condizioni normali e in risposta allo stress, per cercare di identificare il meccanismo di protezione dal danno durante tali eventi. Come modello di studio i ricercatori useranno sia cellule di pazienti sia il moscerino della frutta (Drosophila m.) provati di questa proteina per mimare il danno alla base della malattia. Questo permetterà di comprendere ciò che avviene nelle cellule malate durante lo stress febbrile legato a malattie infettive e, in futuro, di disegnare strategie terapeutiche più mirate per il trattamento di tali malattie mitocondriali.

  • Prof. Graziano Martello – Università di Padova (coordinatore)
  • Vittorio Maglione - Fondazione Neuromed, Pozzilli (IS, partner)

Quella di Huntington è una malattia genetica rara che comporta la degenerazione di aree specifiche del cervello, causando così una graduale incapacità di muoversi e parlare, insieme a gravi disturbi mentali. Ad oggi non esiste una cura. La causa di questa patologia è una mutazione nel gene HTT, che porta alla produzione di una proteina malfunzionante chiamata huntingtina mutata (mHtt). Tuttavia, molti dei geni e dei meccanismi molecolari coinvolti in questa alterazione non sono stati ancora del tutto chiariti. Lo scopo di questo progetto è studiare i geni a funzione sconosciuta che i ricercatori hanno identificato nei precedenti anni di ricerche e confermare se e quali giocano un ruolo nella malattia di Huntington, e in che modo. Utilizzando strumenti per la manipolazione del genoma, i ricercatori hanno identificato oltre 100 geni potenzialmente coinvolti nella malattia. Gli esperimenti su modelli cellulari e animali hanno successivamente mostrato come più del 90 per cento dei geni identificati non erano mai stati collegati alla malattia di Huntington e che il 15 per cento di essi sono geni con una funzione del tutto sconosciuta. Aspetto interessante è che tali esperimenti hanno suggerito che una frazione di questi geni è di potenziale interesse terapeutico Grazie a questo progetto si potrà attribuire una funzione a numerosi geni finora sconosciuti, ampliando così le conoscenze scientifiche sulla malattia di Huntington.