#serviziallapersona

Un lavoro per chi è fragile psicologicamente

L'ONP Bistrò, all'interno dell'ex ospedale psichiatrico di Via Borgo Palazzo (BG) non è solo un bar, ma un progetto sociale e culturale. Un luogo della memoria e di riflessione sul tema della psichiatria e soprattutto un’opportunità occupazionale per persone in condizione di fragilità. 
Fondazione Cariplo è attiva da anni nel “favorire l’inserimento lavorativo di persone in condizioni di svantaggio”. In particolare, dal 2000 fino al 2015, con successivi affinamenti, è stato attivo un bando che ha sostenuto piani di sviluppo e di rilancio di imprese sociali, realtà che svolgono da sempre un ruolo importante nell’ambito delle politiche attive del lavoro. Dal 2000 al 2015 sono stati deliberati 342 contributi per oltre 37,5 ML di euro. I principali destinatari sono state cooperative sociali di tipo B, attive su diversi settori (ristorazione, manutenzione verde, pulizie, assemblaggi, industriale, servizi informatici, commercio) favorendo opportunità di inserimento lavorativo per diverse tipologie di persone con fragilità: persone con disabilità fisica, psichica, persone con dipendenze, detenuti..; sempre più in questi anni le cooperative hanno cercato di adottare strategie di sviluppo mantenendo saldo il rapporto con la comunità locale e con i bisogni di inserimento lavorativo del territori. 

Abbiamo raccolto le #storiedipersone coinvolte nel progetto, ecco cosa ci hanno raccontato: 

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Maria Cristina Bonomi ha 54 anni e soffre di disturbo schizoaffettivo. Se le chiedi che cosa significa ti risponde: «Io voglio voler bene alle persone e voglio essere ricambiata». All’ONP Bistrot Maria Cristina fa le pulizie e non rimpiange per niente il lavoro che aveva prima, era segretaria in una piccola ditta: «non facevo niente di troppo complicato, ero la classica segretaria carta e penna. Ma preferisco fare le pulizie perché è un’attività molto fisica e mi scarica e poi ho già avuto troppe responsabilità nella vita». Maria Cristina si è occupata a lungo di suo padre, ma dei suoi genitori parla e non parla e quello che lascia capire è che in quel nucleo originario non si è sentita tanto al sicuro. La sua vita è la storia di una difficile convivenza con la malattia, di crolli e ripartenze, e dell’ultimo, il più grosso, a cui sono seguiti quattro anni senza lavoro: «mi sentivo malissimo perché non riuscivo a vedere il futuro. Non mi alzavo più la mattina, non mi lavavo, non mi vestivo, non facevo niente. Eppure io ho bisogno di lavorare, mia sorella mi ha aiutato tanto economicamente ma non posso sempre contare su di lei e poi perché a me piace lavorare». Lei arriva quando quasi tutti sono già andati via «perché se c’è troppo chiasso vado in confusione e non riesco a concentrarmi e se vengo disturbata ogni tanto do i numeri! Però quattro chiacchiere con il barista le faccio volentieri e ho un rapporto bellissimo con i superiori». La vita che ha è finalmente quella che Maria Cristina voleva: «Io non cerco un fidanzato, preferisco l’amicizia e il lavoro. Sai una cosa? La mattina non vedo l’ora di venire al Bistrot. Io qui sono arrivata, giri e giri e poi un giorno trovi quello che stavi cercando».

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All’Onp Bistrot Jacopo, 31 anni, si occupa dello sporzionamento dei cibi, prepara i vassoi prima che vengano serviti. Lavora dalle 11 alle 16, poi con l’autobus raggiunge il DayCare del Cps (Centro Psico Sociale) per la sua terapia: «Questo è il primo lavoro che riesco a mantenere nel tempo. Non sono mai riuscito a fare nulla in modo continuativo perché, tra le altre cose, ho un disturbo dell’attenzione  e una sindrome bipolare, per curarmi prendo farmaci tutti i giorni. Da piccolo non riuscivo mai a concentrarmi, a seguire le lezioni, ma a lungo nessuno ha capito di cosa soffrissi. Ho lasciato la scuola al quarto anno di superiori, ho provato tramite cooperative a fare vari lavori. Ma non è andata bene, anche per colpa mia: alle volte non mi svegliavo, oppure non mi sentivo a mio agio con le persone, un superiore una volta mi ha dato del cretino». All’ONP Bistrot Jacopo arriva quasi un anno fa:«Qui è stato diverso da subito: non mi sono mai sentito giudicato però all’inizio arrivavo in ritardo, non ero costante. Poi mi hanno detto che, se non avessi cambiato atteggiamento, non avrei potuto continuare. Mi sono spaventato: per la prima volta ce l’ho messa tutta per essere puntuale, per rispettare le scadenze». Se chiedi a Jacopo qual è l’emozione più grande legata a quello che in fondo è il suo primo vero lavoro ti risponde: «Non lo so, però so che sto bene». Alle quattro stacca, corre verso il Cps, lì lo aspettano i suoi amici.

 

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Carlo Personeni, 37 anni è l’aiuto cuoco dell’ONP Bistrot, gli hanno riconosciuto un’invalidità al 75% per disturbo della personalità e disturbo schizofrenico bipolare. Ma Carlo non è un sous-chef improvvisato, per questo mestiere ha studiato e si è diplomato alla scuola alberghiera. E, per imparare ancora un po’, quando aveva 19 anni ha deciso di partire per l’Inghilterra, voleva lavorare in un ristorante, come facevano tanti coetanei, solo che l’Inghilterra non gli ha portato fortuna: «Si avvicinava il giorno della partenza e io non dormivo la notte. Avevo paura prima di affrontare il viaggio, stavo malissimo ma non l’ho detto a nessuno, nemmeno a mio padre. Per orgoglio sono partito e ho trovato davvero lavoro. Ma dopo poche settimane non sapevo più chi ero, sicuramente non ero più Carlo. A posteriori i medici l’hanno definita una psicosi acuta. Mi hanno licenziato in tronco, improvvisamente mi sono ritrovato su una strada, non parlavo bene l’inglese, qualcuno mi ha detto di cercare il consolato ma non l’ho trovavo. Quando finalmente sono riuscito ad arrivarci, mi hanno fatto un biglietto aereo e mio padre mi aspettava a Linate. Ma io continuavo a essere in uno stato completamente alterato e non sono riuscito a spiegarmi bene con il taxista che, invece che all’aeroporto, mi ha portato alla stazione. Ho preso il primo treno e sono sceso a Canterbury, era notte e volevo un caffè ma il bar era chiuso. Io non ero in me, volevo disperatamente quel caffè, ho preso un sasso e ho rotto la vetrina. La polizia mi ha arrestato, sono stato 12 ore in cella e poi mi hanno portato in un ospedale psichiatrico. Sono stato rinchiuso lì per più di 40 giorni, finché mio padre ha deciso di mettersi in contatto con i miei genitori affidatari». In questa storia ci sono anche loro perché Carlo è stato un bambino senza colpe nato sotto la cattiva stella: «Mia mamma ha avuto una psicosi post parto al momento della mia nascita, si è preso cura di me mio padre. Però poi è dovuto andare all’estero per lavoro e io sono rimasto con la nonna e la mamma. Per modo di dire perché mia madre entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici e le assistenti sociali mi hanno affidato a una famiglia». Forse è grazie a loro, ma soprattutto alla tenacia di Carlo se è riuscito, nonostante tutto, a diplomarsi. Ma dopo l’Inghilterra, che lo ha messo faccia a faccia con le sue fragilità, lavorare non è stato sempre facile: «Alle volte sono stato sfortunato perché è capitato anche di essere assunto in realtà che poi hanno chiuso, altre volte ero io a non reggere. Anche se sapevo che ero bravo, a un certo punto subentrava sempre la domanda: ma sono davvero capace a fare questa cosa? e andavo in crisi. Qui è diverso, mi sento tranquillo e accettato e riesco a pensare che, prima di avere tutte queste sfighe ero bravo e mi rilasso: il mio piatto forte sono i secondi».

Davide Chisci, educatore, è il coordinatore degli inserimenti e, qualche ora a settimana, anche barista dell’ONP. «Questo è un luogo fortemente simbolico e lo avverti ovunque. Fino alla legge Basaglia c’erano 3000 pazienti, i letti di contenimento, dolore, la transizione è stata lentissima, ancora nel 1998 era tutto in funzione». Davide segue con pazienza e allegria il percorso dei lavoratori più fragili: «L’obiettivo è quello di dotarli di strumenti per poter accedere al mondo del lavoro non protetto, offrire loro serenità e stabilità. Ci vuole tempo perché all’inizio non rispettano gli orari e hanno il terrore di sbagliare che li paralizza.  Ma io ormai lo so, se mi mandano un sms e mi scrivono: non vengo, non sto bene io rispondo: vieni lo stesso che ne parliamo» . Con il tempo acquistano autostima e sicurezza in se stessi. Quando si tratta di proporli alle aziende, ormai conosco la persona pregi e difetti, non mando nessuno a scatola chiusa e senza offrire gli strumenti per gestirli. I pazienti psichiatrici sono sempre i più difficili da inserire ma a volte basta solo conoscerli, sapere che magari hanno bisogno di 30 minuti di pausa da soli al giorno prima di ributtarsi nel mondo».

Per saperne di più: ONP Bistrò è gestito da La Magnolia, servizio di Namastè Cooperativa Sociale. Il progetto è uno dei tanti interventi di sviluppo di economia solidale e inserimento lavorativo realizzati con il contributo di Fondazione Cariplo.