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Per crescere un bambino ci vuole una Casa per Fare Insieme

Famiglie che aiutano famiglie. Succede alla Casa per Fare insieme di Rozzano, un appartamento con grandi finestre e pareti dipinte di giallo che assomiglia alla casa che ogni bambino vorrebbe avere, con il calcetto, il giardino per giocare a pallone, un grande divano blu e stelle fosforescenti sui muri. 

Qui, a un anno dall’apertura, si sono incontrati dieci nuclei in carico ai servizi sociali, 80 bambini, 35 ragazzi, 60 genitori. Famiglie fragili, famiglie al singolare, famiglie che hanno voglia di dare una mano. Si impegnano nel laboratorio di teatro, in quello di cucina, nello spazio compiti, nello sportello di educazione finanziaria e in quello di mediazione familiare, sociale e legale. Alle feste e ai tornei di calcio. Sono le Famiglie Solidali, l’iniziativa sviluppata nei distretti metropolitani di Pieve Emanuele e Rozzano nell’ambito del progetto Texére, sostenuto dal bando “Welfare di comunità” di Fondazione Cariplo. Patrizia Bergami, Dirigente della Direzione Innovazione Sociale della Città Metropolitana di Milano è la responsabile del progetto: «Famiglie solidali si rivolge ai genitori che portano i segni di una storia difficile, che attraversano una fase di vita critica, a rischio di esclusione sociale e per queste ragioni faticano a far fronte ai compiti di cura dei figli. Ma insieme alle famiglie in carico ai servizi di tutela, c’è la partecipazione fissa di bambini, adolescenti e adulti che partecipano attivamente a tutte le attività della Casa. L’obiettivo è fare incontrare risorse e bisogni delle famiglie. Per rigenerare i legami sociali, spezzati o logorati, del territorio in cui viviamo. Per creare occasioni di apprendimento collettivo e azioni di cambiamento dal basso e contrastare l’attuale “crisi” economica e sociale».

Albert Lath è un papà che tutti i lunedì frequenta la Casa per Fare Insieme: qui ha trovato il villaggio che gli serviva per crescere i suoi bambini. Viene dalla Costa D’Avorio, ha 56 anni e 4 figli: due gemelli di 12 anni e altri due di 10 anni. I più grandi vivono in affido presso una famiglia, i più piccoli abitano con lui: «La madre dei miei figli soffriva di importanti disturbi mentali e non era in grado di occuparsi dei piccoli. Quando è tornata in Costa d’Avorio, uno dei miei gemelli più grandi, che all’epoca aveva 5 anni, non parlava ancora, la sorellina aveva grossi problemi psicologici. Le assistenti sociali mi hanno proposto l’affido, all’inizio mi sono opposto, poi ho capito che sarebbe stato meglio per loro, io faccio l’operaio, devo lavorare, non avrei mai potuto seguirli come avevano bisogno, le assistenti mi hanno rassicurato sul fatto che non li avrei persi, infatti ci vediamo e ci sentiamo sempre. I gemelli più piccoli abitano con me, frequentiamo la Casa da quando è aperta, guai a mancare un lunedì per la merenda insieme. Adorano andarci, invitano lì anche gli amici di scuola, ma anche io sono contento di partecipare alla vita della Casa. È un posto che fa bene alle famiglie perché ti fa capire che non sei solo, che se c’è un problema si può parlarne insieme e si può anche risolverlo. Nella vita incontri tante persone che sono chiuse in se stesse, lì ci apriamo. Ho vissuto momenti molto difficili ma ho capito che posso essere un bravo padre e cammino a testa alta»

Nella Casa è nato anche il progetto delle Famiglie di prossimità. Spiega Flavia Ciceri, la responsabile: «Le famiglie di prossimità rappresentano un’evoluzione più strutturata delle famiglie solidali perché presuppongono un abbinamento tra una famiglia in carico ai servizi sociali e una famiglia che si rende disponibile a offrire il suo aiuto, per un pomeriggio alla settimana di compiti, per accompagnare i bambini a fare sport, per trascorrere la domenica insieme. A Rozzano le situazioni critiche sono numerose e volevamo creare un sistema di aiuti che fosse svincolato dal mondo dei servizi sociali, che non fosse vissuto un intervento calato dall’alto. Questo percorso lo stiamo costruendo insieme alle famiglie che si propongono come risorsa e a quelle più bisognose, ma è un processo che richiede tempo. Un conto è darsi una mano in modo informale, un conto accettare un impegno concordato in cui “mettere la testa e non solo la pancia”.  

Maria Massara, 49 anni, è una di quelle che ci ha messo la testa e anche il cuore e sta aspettando il suo “abbinamento”. E’ stata contattata perché ha una lunga storia di impegno sociale: «Sono mamma di un bambino disabile di 11 anni e, insieme a lui e a mio marito, abbiamo già fatto due percorsi di affido. Abbiamo ospitato per un anno e mezzo tutti i fine settimana come famiglia di appoggio tre ragazze ed è stata un’esperienza bellissima, poi abbiamo avuto in affido per sei mesi un ragazzo di 17 anni, un percorso estremamente difficile ma che ci ha insegnato molto. Quando ci hanno chiesto se volevamo diventare una famiglia di prossimità abbiamo accettato subito, io sto già frequentando la Casa per fare insieme tutti i giovedì per aiutare i ragazzi a fare i compiti e non mi spaventa l’idea di un impegno più strutturato. Mi immagino una relazione di buon vicinato, qualcosa di simile al rapporto che si è creato con la famiglia delle ragazze che hanno vissuto con noi. Capisco però che altri che non hanno la nostra storia siano spaventati, Rozzano è un contesto duro. Però è anche vero che molti di noi vengono dal Sud, siamo abituati a questa dimensione di comunità. Si tratta di ritrovare questo senso di paese, di aiutarci l’un l’altro ma con più lucidità e consapevolezza.»

Photo credits: @Riscatti Onlus

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