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Violenza contro le donne: un'associazione sul territorio lombardo

Una donna uccisa ogni due giorni. Secondo il rapporto Eures l’anno scorso in Italia sono state 179. Un’escalation di violenza, di solito domestica, che culmina troppo spesso nel più tragico degli epiloghi. Ne scriviamo oggi, perché l’ONU ha istituito questa data come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, ma ci impegniamo tutto l’anno dando risposte concrete alle donne che chiedono aiuto, attraverso tanti progetti sociali che tutelino loro e i figli che spesso sono vittima tanto quanto le madri.  
Abbiamo raccolto la testimonianza di Amalia Bonfanti, presidente dell’Associazione L’altra Metà del Cielo, che con le volontarie opera nel territorio di Lecco (Merate e Casate) e proprio quest’anno ha ricevuto il sostegno di Fondazione Cariplo. Un’associazione che prima di tutto promuove azioni di contrasto alla violenza di genere e in famiglia, organizzando incontri sul territorio, coinvolgendo comuni, assistenti sociali, scuole e forze dell’ordine. Inoltre ha attivato una serie di strumenti come il Telefono donna, lo Sportello Antistalking, i gruppi di Auto Mutuo Aiuto (A.M.A.), le Case Rifugio

Amalia, quante donne state aiutando e avete già aiutato con l'associazione?

Da gennaio 2014 ad oggi abbiamo accolto presso i nostri sportelli 89 donne, nelle nostre due case-rifugio di pronto intervento abbiamo ospitato 17 donne e 12 minori e nelle nostre due case di seconda accoglienza abbiamo ospitato 3 donne e 7 minori.

In concreto cosa succede quando una vittima di violenza si rivolge a voi?

Quando una donna si presenta al nostro sportello viene accolta da due operatrici volontarie. Sulla base delle problematiche riscontrate possiamo offrire gratuitamente consulenza psicologica, consulenza legale (civile o penale), inserimento nei gruppi A.M.A., accompagnamento presso i servizi del territorio, presso le forze dell'ordine, presso il tribunale, aiuto nella ricerca del lavoro e della casa…
Se viene accolta nelle case di pronto intervento, su segnalazione urgente di medici del pronto soccorso (o forze dell’ordine o assistenti sociali), si provvede alla messa in sicurezza della donna e dei minori presso le nostre strutture che hanno ovviamente indirizzo segreto. Vengono forniti alloggio, cibo, abiti e tutto quanto serva alla vita quotidiana. Le vittime di violenza spesso fuggono di casa senza nulla, in preda alla paura, quindi non hanno dietro documenti, soldi, telefono… Solo quando la donna è tranquilla, dopo alcuni giorni, in collaborazione con i servizi sociali, si procede a costruire con la donna un percorso verso l'autonomia.

L’associazione di cui fa parte ha ricevuto un contributo per realizzare una casa di seconda accoglienza per donne vittime di violenza, valorizzando un immobile confiscato alla mafia, nel comune di Olginate. Quanto è importante in progetti come questi il sostegno del pubblico e del privato?

In progetti come questi è INDISPENSABILE la collaborazione tra soggetti pubblici, privati e del privato sociale (terzo settore) perché garantiscono, oltre ovviamente all'aiuto finanziario, anche la possibilità di "fare rete" e far conoscere il fenomeno della violenza sulle donne.
 

l'altra metà del cielo onlus 2

Dal suo osservatorio, cosa pensa sia necessario per fermare la violenza sulle donne?

Occorre sicuramente rimuovere tanti stereotipi partendo da un concetto nel quale crediamo: prevenire è meglio che curare, quindi continuare a favorire incontri di sensibilizzazione e di conoscenza. Per questo motivo noi organizziamo incontri nelle scuole e, in concerto con le istituzioni scolastiche, promuoviamo discussioni con le giovani donne e con i giovani uomini proprio per affrontare il fenomeno della violenza di genere.

Ci racconta una storia particolarmente significativa di una donna vittima di violenza aiutata dall’associazione?

O. è una donna che tre anni fa si è presentata al nostro sportello raccontando storie di quotidiana violenza: 30 anni, due figlie, il marito usava tutti i soldi guadagnati per giocare ai videopoker e quando perdeva, tornava a casa e sfogava tutta la sua frustrazione sulla moglie. La violenza durava da anni. Abbiamo chiesto ad O. perché non lasciava il marito, la risposta, che riceviamo spesso, è “perché è il padre delle mie bambine”. Abbiamo offerto a O. la possibilità di seguire un percorso psicologico (era terrorizzata ed in alcuni momenti tremava) e l'opportunità di frequentare i nostri gruppi A.M.A. Aiutata e sostenuta da questi interventi si sentiva più tranquilla e soprattutto non più sola.
O. ha continuato a sopportare le sfuriate del marito sino a quando una sera di due anni fa lui ha dato un calcio alla figlia piccola: allora se ne è andata, l'abbiamo accolta nella nostra casa, ha sporto denuncia, ha chiesto la separazione.
Ora, ovviamente dopo momenti terribili di angoscia per il domani, sia suo che delle figlie, vive relativamente tranquilla in un piccolo appartamento, lavora e.... è meno preoccupata per il futuro.