#ricercascientifica

Io faccio ricerca in Italia!

L’Italia è un Paese poco attrattivo per la ricerca scientifica. Gli scienziati italiani scelgono spesso di andare all’estero per sviluppare le loro attività di studio. Non solo una questione di budget e finanziamenti, ma anche di accoglienza e benefit. Fondazione Cariplo ha lanciato un’iniziativa per contrastare questa tendenza attraverso un bando che consentirà nei prossimi mesi di attrarre in Lombardia almeno 10 ricercatori, con un budget di 4,5 milioni di euro, puntando sul miglioramento dell’attrattività del contesto locale e sul potenziamento della competitività dei ricercatori di domani. Non è la prima volta che Fondazione si impegna per valorizzare i giovani ricercatori e contrastare la fuga dei cervelli dal nostro Paese. L’attenzione verso il sistema della ricerca e il capitale umano ha da sempre caratterizzato l’operato di Fondazione Cariplo. 
Di seguito le storie di chi, nonostante le difficoltà del settore, ha scelto di restare in Italia e di aiutare l’innovazione del nostro Paese.

 

Le storie di chi fa ricerca scientifica in Italia

Lucio Conti - PhD - Department of Biosciences  - Università degli Studi di Milano 

Lucio Conti

Perché hai scelto questa professione?
È stata una scelta maturata nel tempo. Mi sono iscritto alla facoltà di Biologia perché ero interessato alle scienze naturali e alla biologia marina. Di fatto, i miei interessi si sono in seguito orientati verso lo studio dei meccanismi molecolari che governano lo sviluppo degli esseri viventi, in particolare delle piante. Solo dopo varie esperienze internazionali mi sono convinto che la mia passione poteva diventare un lavoro.

Quali sono gli ostacoli che affronti nel tuo lavoro?
Ci sono ovviamente le difficoltà tecniche legate agli esperimenti. Ma questa è l’aspetto divertente del mio lavoro. Meno divertente è il lavoro legato al reperimento dei fondi!

Qual è la tua maggiore soddisfazione?
Il processo che porta a una scoperta scientifica è un viaggio straordinario, specialmente quando si riesce a dare un significato a un fenomeno in partenza incognito. Ci sono gli ingredienti di una rappresentazione teatrale : suspense, scoraggiamento, euforia…

Perché resti a lavorare in Italia?
Non ho una risposta semplice. Sono andato all’estero dopo la laurea per un dottorato e alla fine ci sono rimasto per 8 anni. A un certo punto le scelte erano due: trasferirmi per sempre oppure provare qualcosa di nuovo, ritornando. Ho scelto la seconda strada.

Che consiglio daresti ad un giovane ricercatore?
Fare almeno un paio di esperienze internazionali. Per molte persone questo rappresenta un’occasione di crescita professionale e personale fondamentale. Come nella ricerca scientifica, bisogna sempre provare cose nuove, sfidare l’ignoto per conoscere le proprie potenzialità.

Di cosa avrebbero bisogno i ricercatori in Italia?
Certamente di più finanziamenti per la ricerca di base. Bisogna rischiare di più e investire in meritocrazia e nuove idee per avere risultati importanti e rendere il nostro sistema attrattivo a livello internazionale

Valenza Marta - PhD - Department of Biosciences and Centre for Stem Cell Research - Università degli Studi di Milano

marta Valenza 2

Perché hai scelto questa professione?
Mi piace l’idea di poter contribuire a spostare il muro dell’ignoto più in là e ad avvicinare la conoscenza. In particolare, sono sempre stata affascinata dal cervello e dalle sue potenzialità.

Quali sono gli ostacoli che affronti nel tuo lavoro?
L’ostacolo più grande è quello di non riuscire ad avere una posizione stabile nel mio Ateneo nonostante i risultati e i finanziamenti ottenuti in questi 13 anni di ricerca. Ma la passione per questo lavoro e il riconoscimento che sento da parte di colleghi e istituzioni straniere mi danno la forza di andare avanti.

Qual è la tua maggiore soddisfazione?
Lo stupore e l’euforia quando scopro qualcosa di nuovo, in cui sono la prima al mondo a vedere quel risultato, non ha paragone. È un’emozione unica che annulla in un attimo tutti gli ostacoli affrontati. Inoltre, sapere che quella scoperta potrà contribuire a capire qualcosa di più di una malattia oggi incurabile, riempie il cuore di gioia.

Perché resti a lavorare in Italia?
Ho la fortuna di svolgere progetti che amo e di essere in un laboratorio dove non si sentono i “confini territoriali”. A volte c’è la voglia di andare via per avere condizioni lavorative migliori. Per competere con chi lavora a Harvard o a Cambridge dobbiamo scrivere più richieste di finanziamento, organizzare da soli spazi e condizioni di lavoro, inventare strategie per non subire rallentamenti.  Ma se ci sono idee, volontà e passione, si può fare ricerca di alto livello anche in questo Paese.

Di cosa avrebbero bisogno i ricercatori italiani?
Di meritocrazia e di opportunità. Ci sono ricercatori bravi e laboratori eccellenti isolati piuttosto che valorizzati. Manca, soprattutto in ambito universitario, un sistema che permetta di selezionare in base al merito e una politica in grado di dare vere opportunità. Servono più investimenti con regole trasparenti in cui vi sia libera competizione per le idee migliori, nuovi laboratori e gruppi di ricerca indipendenti.

#dammitreparole fondamentali nella tua vita…
Capire, condividere, perseverare.

Giorgia Spigno - Ricercatrice presso Istituto di Enologia e Ingegneria Agro-Alimentare - Università Cattolica Sacro Cuore di Milano

Spigno giorgia 2

Perché hai scelto questa professione?
È stata la professione a scegliere me. Il mio professore di tesi mi chiese se mi interessava fermarmi in Università e tutto ebbe inizio, con naturalezza e, ammetto, anche fortuna. Se dovessi tornare indietro, rifarei tutto senza cambiare nulla.

Quali sono gli ostacoli che affronti nel tuo lavoro?
Due ostacoli principali: la difficoltà nel reperire i fondi per portare avanti le proprie idee, le proprie ricerche ed i propri collaboratori. La qualità della ricerca è sempre in aumento  a livello sia nazionale, sia internazionale e la competizione altissima.
Il secondo ostacolo è il tempo: tra famiglia e lavoro la lista delle cose da fare si allunga, ma le mie bimbe hanno la precedenza. Così capita di scoprire che quello a cui da tempo pensavi è stato già messo in pratica da qualcun altro…

Qual è la tua maggiore soddisfazione?
Riuscire a vedere il proprio progetto nella lista di quelli finanziati, pubblicare i propri risultati e scoprire che ci sono giovani ricercatori che vorrebbero venire a lavorare con te per imparare.

Perché resti a lavorare in Italia?
Non ho mai pensato di trasferirmi all’estero in maniera stabile ma solo per periodi di ricerca che mi permettessero di conoscere altre realtà e culture. Penso che vivere in qualsiasi altro Paese abbia lati positivi e negativi, ma sono contenta di rimanere nella mia Italia, anche se non mi precludo nulla per il futuro.

Che consiglio daresti ad un giovane ricercatore?
Di armarsi di santa pazienza. Con la passione nel cuore, tutto può essere più semplice, ma bisogna essere pronti a muoversi in un contesto fortemente internazionale, a viaggiare, a rinnovarsi continuamente, a pensare sempre al lavoro. Un’esperienza di ricerca all’estero è fondamentale per il proprio curriculum ma soprattutto per i contatti.

Di cosa hanno bisogno i ricercatori in Italia?
Di fondi. E che venga riconosciuto il valore di questa professione, spesso sottovalutata; inoltre servirebbe una maggiore propensione delle aziende a collaborare (e finanziare) le attività di ricerca.

 #dammitreparole fondamentali nella tua vita…
Famiglia, correttezza, solitudine

Daniela Petti - PhDLNESS Center - Physics Department Politecnico di Milano

Daniela Petti

Perché hai scelto questa professione?
Ho il privilegio di poter svolgere il lavoro più bello del mondo: un lavoro che ogni giorno riesce a stupirmi e ad insegnarmi qualcosa, che ogni giorno è diverso. E poi c’è ovviamente la passione per la fisica...

Quali sono gli ostacoli che affronti nel tuo lavoro?
Combattere contro la burocrazia e lavorare con risorse limitate. Spesso infatti si perde molto tempo perché anche nella ricerca c’è questo approccio tutto italiano (che infondo è anche la nostra forza) del “in qualche modo si fa”, anche se non ci sono tutti i mezzi o le prospettive necessarie.

Qual è la tua maggiore soddisfazione?
Questo lavoro è fatto di grandi frustrazioni, ma anche di grandi soddisfazioni: pensare ad un esperimento e realizzarlo, pubblicare un articolo… Ma la gioia più grande è riuscire ad appassionare e stimolare le persone: chi lavora con me, chi si approccia al mondo della ricerca per la prima volta o chi ne è estraneo.

Perché resti a lavorare in Italia?
Perché ho una prospettiva: il mio progetto finanziato da Fondazione Cariplo da portare avanti nei prossimi 3 anni e una posizione da ricercatrice a tempo determinato. Sono nella condizione di poter contribuire al futuro del mio Paese e considero questo mio compito un privilegio, ma anche una responsabilità.

Che consiglio daresti ad un giovane ricercatore?
Consiglio di non lasciarsi scoraggiare dal presente e di perseguire i propri sogni e interessi, ovunque ci portino. Ma di tornare a casa prima o poi, ché qui abbiamo bisogno di giovani menti!

Di cosa hanno bisogno i ricercatori in Italia?
Di avere prospettive e riconoscimenti da parte della società. Il mondo della ricerca viene visto come un universo parallelo e un po’ inutile, perché spesso i risultati sono tangibili solo a lungo termine. Ma la ricerca pone le basi per rispondere ai bisogni futuri del nostro Paese e il futuro è domani. Da un punto di vista pratico, i ricercatori hanno bisogno di tempo, di mezzi e soprattutto di serenità per far ricerca.

#dammitreparole fondamentali nella tua vita…
#scienza #ricerca #passione